Terra terra… Quel fuoco da custodire e regalare che accompagna l’uomo da sempre
Il filosofo Bacon diceva: «Perché la luce sia splendente, ci deve essere l’oscurità». Quindi ne consegue che, se tanta è l’oscurità, è più facile per noi cogliere il ben che minimo principio di luce. E non parlo della luce mostrata dalle insegne commerciali, dalle luminarie con il loro tripudio di colori, dagli alberi sfavillanti. Niente di tutto ciò può competere con la bellezza di una semplice candela accesa. Lo sappiamo. Lo vediamo. Lo capiamo.
Che sia Natale o Pasqua, quella piccola fiammella resta l’essenza di una luce completa e non capziosa. Luce sincera. Parigi, è solo l’ultima in ordine di tempo ad averci mostrato migliaia di piccole candele accese per ricordare le vittime innocenti. Bellezza e potenza di un simbolo. Chissà quanti in queste ore in casa accenderanno una candela per sentire nel profondo che è festa!? Che sia un gesto istintivo o intenzionale, poco importa, ma non tutti arrivano a immaginare che quel flebile bagliore ci giunge dalle profondità di una millenaria grotta dove l’umanità si ritrova.
Da sempre! Dove gli uomini primitivi associavano l’utilità e necessità di un fuoco a quella della sicurezza e protezione del nucleo famigliare. “Luce” significa casa, famiglia, così da sempre. Con il focolare diventato icona universale, secondo cui i antichi romani vedevano il “foco dei Lari”, delle anime degli ante-nati. Le scintille che si levano dalla fiamma viva, venivano pensate come “anime” di chi ci ha preceduto. Legame di luce e tempo. Incontro luminoso tra passato e presente, di cui abbiamo ereditato memoria e inconsapevole suggestione.
L’usurpazione del significato originario del Natale di questi ultimi anni, non concorre certo a farci rimembrare tutto ciò. A dirci come una candela accesa nell’oscurità invernale, stia a ricordarci che presto il sole tornerà a rinascere (solstizio d’inverno – dies natalis). E mentre fluttuiamo in questo tempo di luccicanti ammiccamenti, dove la festa è consumo che finisce col consumarci (stress da festività), quella piccola fiamma parla di una semplicità disarmante e rassicurante. Linguaggio antico dell’anima e dei segni. Sensazioni ancestrali cui siamo indissolubilmente legati, pur restandone ignari. Ecco spiegato perché “sentiamo il Natale”, stando davanti a un focolare. Quando percependo il linguaggio di quel fuoco antico, proviamo l’incanto.
Ed è dal calore di questa “intimità” con noi stessi e gli altri (cosa rara a Natale vista la convulsione dei riti moderni) che quel barlume illumina le menti. L’augurio che qui voglio esprimervi, ci raduna simbolicamente attorno al focolare, formulando come una “novena di Natale” buoni pensieri. Illuminanti e saggi, perché è di questo che ha fame questo bizzarro mondo distratto da altro. A voi l’augurio di essere “custodi di questa luce di saggezza”. Regalo da fare e da ricevere.
Davanti a questo fuoco ardono per voi questi pensieri: «Certi pensieri sono delle preghiere. Ci sono momenti in cui, qualsiasi sia l’atteggiamento del corpo, l’anima è in ginocchio» (V. Hugo). «Le mani che aiutano, sono più sacre delle bocche che pregano» (S.B.). «La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori» (J. S. Bach). «C’è bisogno di arte per non perire di realtà». «C’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo» (F. De Andrè). «Se l’uomo non butterà fuori dalla storia la guerra, sarà la guerra che butterà fuori l’uomo dalla storia» (C. Strada). «Qualche volta è scomodo sentirsi fratelli, ma è grave sentirsi figli unici» (E. Biagi). «Dio è nei dettagli» (L. M. van der Rohe). «L’ultimo passo della ragione, è il riconoscere che ci sono un’infinità di cose che la sorpassano» (B. Pascal). «La flebile luce che entrò nella grotta, uscì poi folgorante dal sepolcro» (A. G.).