L'imam Layachi: «Insieme, stiamo facendo la volontà di Dio»
«Eresia», prima ancora che «follia omicida». Il «male da combattere tutti uniti», quel Daesh che appare in difficoltà sul terreno ma insanguina le città europee grazie ai suoi cani sciolti, per Kamel Layachi, imam delle comunità islamiche del Veneto, assume i caratteri del tradimento della religione. In questi anni lo ha detto e scritto più volte, e domenica scorsa lo ha ribadito fin dal suo arrivo al Duomo di Padova per partecipare alla messa come hanno fatto oltre 23 mila musulmani in tutta Italia.
Parole e immagini di un giorno destinato a rimanere nella storia.
«Siamo qui per portare la nostra solidarietà alle comunità cristiane e alla chiesa cattolica universale – ha detto sul sagrato di fronte a una ventina di giovani musulmani che lo accompagnavano – Ma siamo qui anche per ribadire la nostra ferma condanna contro questa follia omicida che ha colpito e continua a colpire tantissime persone innocenti di tutte le culture e tutte le religioni. Da questo luogo sacro i musulmani vogliono tendere la mano a tutte le comunità cristiane, a tutte le religioni, a tutti i cittadini per rimanere uniti e affrontare insieme questa sfida».
Imam, ha partecipato alla messa assieme ad alcuni giovani. Perché questa scelta?
«Si tratta di una scelta coerente con il lavoro che stiamo facendo con i giovani in questi anni: sensibilizzazione e prevenzione. Far partecipare i giovani musulmani a una messa trasmette loro il valore del rispetto. Il rispetto delle fedi altrui non più come una cosa distante, ma come un valore su cui impostare la convivenza. I messaggi che lanciamo attraverso i seminari, i campus, i ritiri spirituali che facciamo con i giovani nel Veneto vanno a favore di questo sforzo dialogico che stiamo portando avanti da tanti anni».
C’è anche chi ha salutato positivamente il gesto simbolico di domenica scorsa, ma sottolinea il bisogno di un lavoro quotidiano…
«L’incontro di oggi non è un’iniziativa solitaria. In tutti questi anni come musulmani, cristiani ed ebrei abbiamo vissuto insieme il dialogo. Non abbiamo teorizzato sul dialogo, lo abbiamo vissuto, anche a Padova. A volte a questi percorsi viene a mancare visibilità, ma sono tantissimi i progetti, partiti anche dal basso, tra famiglie, giovani, tra donne e uomini di fede. Ci incontriamo molto spesso per ragionare sull’attualità e anche per essere dono l’uno per l’altro».
Daesh al contrario ha fatto proprio della visibilità una delle sue armi più pericolose…
«E attraverso questa capacità inganna i giovani con effetti speciali e discorsi militanti: specie i giovani fragili dal punto di vista religioso sono facili prede. Molti di loro non hanno mai frequentato seriamente una moschea, altri appartengono alla microcriminalità. Noi fatichiamo invece ad avere visibilità perché le nostre comunità sono molto recenti, siamo appena alla seconda generazione, e le nostre risorse sono scarse. Molti di noi sono dei volontari, non sono pagati per il lavoro che fanno. Quando storie di dialogo e di comunione vengono raccontate non può farci che piacere. D’altro canto il lavoro di noi formatori e guide consiste nel dare la giusta formazione ai giovani musulmani per prevenire, perché oggi con internet si può accedere a tutto. Anche al male».
Perché ha scelto il Duomo di Padova per partecipare alla messa?
«Sono impegnato nel Veneto per diffondere questa cultura all’interno delle nostre comunità e Padova rappresenta per me la storia di questi rapporti, il cuore di queste relazioni».
Durante l’eucaristia il vicario generale, mons. Paolo Doni, ha più volte descritto questo momento come «la profezia del mondo che vogliamo». Cosa pensa di questa immagine?
«È certamente così. Alcune parole dell’omelia di don Paolo mi hanno toccato il cuore e tra queste certamente il termine “profezia”. Noi, in questo momento e insieme, stiamo facendo la volontà di Dio. “Che tutti siano uno”, dice il Vangelo. Lo dice anche il Corano. Lo dicono anche gli altri libri sacri. Bisogna vivere questi insegnamenti religiosi, all’insegna dell’impegno per l’unità e la misericordia reciproca».