"Testimoni di misericordia". Storie, persone, associazioni in un inserto speciale
Nell'anno giubilare voluto da papa Francesco La Difesa del popolo e La Voce dei Berici hanno realizzato insieme la pubblicazione Testimoni di misericordia per approfondire nell'attualità come si traducano le sette opere di misericordia.
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La Pasqua che abbiamo appena vissuto ci consegna un’immagine esemplare che viene a farci da bussola per questo anno della misericordia. È l’immagine di papa Francesco, il giovedì santo, chino a lavare i piedi dei rifugiati accolti nel centro di Castelnuovo di Porto, alla periferia di Roma. Delle tante “periferie esistenziali” che il papa non si stanca d’invitarci a frequentare, quella che assume oggi le forme e i volti di centinaia di migliaia di sorelle e fratelli che bussano alle frontiere d’Europa è forse la più drammatica: per gli abissi di sofferenza che segnano i loro cuori, ma anche per gli abissi di rifiuto, ostilità, violenza fisica e verbale che vanno crescendo nella nostra società.
Certo, i migranti non sono l’unica “periferia” cresciuta ai margini dell’opulenza occidentale. Questo “Giubileo diffuso” ce lo ricorda in maniera plastica quando invita ciascuno di noi a varcare una delle mille porte sante che ci stanno davanti. Sono quelle che conducono all’abitazione di un anziano solo, al letto di un ospedale, alla cella di un detenuto... ai luoghi dove, senza inutile retorica, possiamo davvero fare anche noi esperienza dell’incontro con Dio, con quel Dio che ci ha chiesto di riconoscerlo nei fratelli e di chinarci sulle loro fragilità.
È un invito che suona anche come un incoraggiamento per le nostre chiese venete. Qui la carità è da secoli parte connaturata a un’esperienza che ha saputo farsi compagna di strada dell’uomo lungo il cammino non sempre facile della vita. Ne è prova quella miriade di ospedali, case di riposo, scuole, cooperative, centri per disabili, associazioni che vivono ancor oggi nelle nostre città e ne hanno segnato in profondità la storia.
Ma la carità non basta, se si limita a offrire un pezzo di pane o se è la mera condivisione del superfluo. Lo sforzo a cui ci richiama il vangelo ha un’ambizione più grande, guarda a un orizzonte più vasto che possiamo – magari a rischio di una qualche ambiguità – definire di natura “politica”. È l’orizzonte di chi, nel momento stesso in cui riconosce il volto di Cristo nel povero, nel profugo, nell’affamato, sente che il vero servizio che dobbiamo all’uomo è impegnarci perché povertà, fame, migrazioni forzate non abbiano più a ripetersi. Perché la dignità dell’essere umano, in quanto figlio di Dio, sia sottratta all’ingiustizia e all’oppressione fino a risplendere in tutta la sua bellezza.
Sterile utopia? Forse, se guardata con la lente del cinismo che informa di sé tanta parte della cultura dominante. Progetto irrealizzabile? Forse, se calcoliamo i tempi con la fretta dei politici o dei manager, che hanno bisogno di incassare risultati veloci. Strada verso il baratro? Magari, se ci culliamo nella nostalgia di piccole patrie chiuse in loro stesse e indifferenti al mondo che le circonda. Ma chi oggi guarda con sospetto o con sufficienza alle parole del papa non ci consegna una società perfetta, tutt’altro.
La strada della misericordia, se praticata con sincerità, chiede una conversione profonda dei cuori, forse a noi credenti per primi. Le storie che presentiamo in queste pagine – frutto della collaborazione tra i settimanali diocesani di Padova e Vicenza – mostrano la complessità dei problemi, ma anche la bellezza di tante soluzioni che già hanno preso forma intorno a noi, e che ci indicano una direzione. Possiamo seguirla facendo appello a un altro dei principi cari a papa Francesco, ovvero l’idea che «è più importante aprire processi che raggiungere risultati».
Aprire processi, essere sale e lievito, avere la forza della profezia: modi diversi per indicare il ruolo che spetta ai cristiani nella società. Senza l’ansia dei risultati immediati, senza la pretesa del “tutto e subito”, ma con la voglia di offrire il proprio contributo. Come altri hanno fatto prima, come altri faranno dopo, nel medesimo sforzo di fedeltà all’uomo. Perché vogliamo lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto. E un mondo senza misericordia, non è un posto bello in cui vivere.