Da rifugiati a detenuti: così la Croazia è diventata un "limbo micidiale"
Reportage dal campo di Slavonski Brod, che si trova al sud del paese, al confine con la Bosnia Erzegovina. Doveva essere un luogo di identificazione, ristoro e cura per chi passava sulla rotta balcanica, ma con la chiusura della frontiera è diventato una specie di prigione a cielo aperto per iracheni, afgani e siriani.
Doveva essere un luogo di identificazione, ristoro e cura per i rifugiati in transito, ma è diventato presto una specie di prigione a cielo aperto. E' il campo di Slavonki Brod, in Croazia, dove sono bloccati iracheni, afgani e siriani dopo la chiusura della frontiera slovena e l'accordo Ue-Turchia. Un "limbo micidiale" a cui è dedicato il reportage di Anna Meli, direttrice comunicazione del Cospe, pubblicato sul sito della ong.
Il racconto di Anna Meli
La Croazia è stata terra di transito di rifugiati per molti mesi. La situazione più drammatica si è registrata tra la fine di settembre e dicembre scorso. Nel solo mese di ottobre sono state 204.349 le persone arrivate nel paese. Arrivavano in treno. Si contavano fino a 8 convogli stracarichi e fino a 1500 persone che sostavano per al massimo 1 giorno o a volte per poche ore nel campo di Slavonski Brod.
Il campo si trova a sud del Paese al confine con la Bosnia Erzegovina, su una vecchia area industriale dismessa che veniva servita dalla ferrovia, la stessa usata dai profughi per arrivare qui. Ed è proprio attorno ai lati dei binari che sono state allestite le strutture provvisorie, tende e container, adibiti alla registrazione e identificazione dei rifugiati ma anche a luogo di ristoro e cura.
Le strutture dell’ala sinistra dei binari gestite in collaborazione con la Croce Rossa e dal ministero dell’Interno croato si sono via via trasformate da luoghi di ricovero a luoghi di detenzione. Dalla chiusura della frontiera con la Slovenia l’8 marzo e ancor più dopo la conferma dell’accordo con la Turchia stabilito nel vertice europeo del 17 e 18 marzo le persone sono rimaste bloccate nel campo. Non solo non sono state fatte più uscire ma gli è stato dato loro il permesso provvisorio di 30 giorni rilasciato dalle autorità croate e allo scadere del quale si diventa irregolari ed espellibili.
Solo da qualche settimana le famiglie sono state divise dal resto dei detenuti e gli sono stati assegnati dei container mentre gli uomini soli vivono tutti insieme in una enorme tenda. Attualmente nel campo si contano 219 persone di cui 129 uomini, 29 donne e 65 minori. La maggioranza delle persone viene dall’Iraq (108 persone) seguono gli afgani (81) e 30 sono invece i siriani. Il campo si è anche ripopolato nelle ultime settimane di persone respinte dalla Slovenia e anche dall’Austria.
Un documento inviato da un profugo del campo ad un’operatrice croata del Centro studi per la pace, partner di Cospe, che opera nel campo insieme e a sostegno delle organizzazioni internazionali fin dall’inizio dell’emergenza, mostra come fino a gennaio la cosiddetta “Balkan route” era stata “istituzionalizzata” prevedendo che al passaggio tra i vari Stati aderenti (Macedonia Serbia, Croazia, Slovenia e Austria ) si apponesse addirittura un timbro dalle singole autorità di frontiera. Con la chiusura della frontiera slovena i rifugiati si sono trovati in un limbo micidiale.
“Nessuno rinuncia alla speranza di passare la frontiera verso il nord Europa e di ricongiungersi a qualche familiare“, dichiara il poliziotto che ci scorta durante tutta la visita Alle mie insistenti domande sul perché i rifugiati non possono uscire dalle strutture il poliziotto racconta come in verità possono uscire ma accompagnati dalla polizia. “Oggi abbiamo accompagnato 2 rifugiati ad un alimentari in paese e ieri anche. Dovevate vedere gli sguardi degli abitanti” aggiunge.
Alla fine racconta che a scortare i 2 rifugiati che avevano chiesto di poter comprare dei beni in città c’erano 4 poliziotti. Una criminalizzazione inaccettabile ostentata anche dall’imponente dispiegamento di forze dell’ordine nel campo. Al momento della nostra visita erano almeno 6 le camionette all’interno e nella caserma adiacente abbiamo visto almeno una ventina di agenti senza contare quelli della sorveglianza all’ingresso e i 3 poliziotti dispiegati all’ingresso di ciascuna delle due sezioni. Una detenzione ingiustificata e contro ogni normativa internazionale funzionale però a garantire quella separatezza tra popolazione locale e rifugiati a cui il governo croato tiene molto.