Migranti, il piano Ue-Turchia ancora non decolla. Caritas: scelta inaccettabile
Corsa contro il tempo per mettere in pratica l'intesa che dovrebbe fermare gli sbarchi sulle coste greche. Tsipras: "Se Ankara non ferma i trafficanti non potremo metterlo in atto". Venti stati mettono a disposizione personale, ma occorrono 4 mila persone. Critico il Commissario Muiznieks: "Servono misure a lungo termine". Caritas Italiana: "Si rischiano conseguenze drammatiche per i profughi".
Sulla carta dovrebbe essere attivo e funzionante, ma nella pratica regna ancora la confusione su quando e come si potrà effettivamente riuscire a mettere in atto l'accordo tra Ue e Turchia per bloccare il flusso di migranti in arrivo attraverso l'Egeo. Dall'ufficiale entrata in vigore, domenica, dell'accordo che avrebbe dovuto bloccare gli arrivi di migranti, oltre 1.500 persone sono sbarcate sulle coste greche, mentre si sta ancora cercando il personale necessario per trattare le domande di asilo e gestire le operazioni di ritorno verso la Turchia.
“Siamo coscienti delle difficoltà e lavoriamo 24 ore al giorno, sette giorni su sette, per assicurare che venga fatto tutto quello che deve essere fatto perché questo accordo funzioni presto”, commenta il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas. “La Commissione farà tutto il possibile per fare sì che questo accordo sia messo in pratica sul terreno”, promette, ricordando le parole del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker che, al momento della firma dell'accordo, aveva parlato di uno sforzo “erculeo” da compiere per rendere funzionante l'intesa.
Tsipras: la Grecia da sola non può fare nulla
Ad evidenziare le difficoltà è anche il premier greco, Alexis Tsipras, che ad Atene ha incontrato il commissario europeo per l'immigrazione, Dimitris Avramopoulos proprio per lavorare sui dettagli del piano. “Dobbiamo fare uno sforzo arduo perché la messa in atto di questo accordo non sarà una cosa facile”, ha ammesso Tsipras, che a Bruxelles ha chiesto soprattutto di aumentare la pressione su Ankara affinché questa compia maggiori sforzi nella lotta contro la rete di trafficanti che porta i migranti dalle coste turche a quelle elleniche.
“Purtroppo ieri c'è stato un grande numero di arrivi, circa 1.500”, ha ricordato Tsipras, avvertendo: “Se non ci sarà una riduzione dei flussi non saremo in grado di evacuare con successo le isole così che il piano possa iniziare ad essere messo in atto con successo”.
Manca il personale per i controlli
A creare problemi, oltre alle partenze che continuano, è la carenza del personale necessario a condurre le operazioni. Secondo i piani della Commissione servirebbero in tutto circa 4 mila persone messe tra interpreti, ufficiali per valutare le richieste di asilo dei migranti ed eventuali ricorsi, personale per assistere alle operazioni di ritorno e forze di polizia per la sicurezza. Frontex ha chiesto agli Stati membri di mettere a disposizione 1.500 ufficiali di polizia e 50 esperti per riammissioni e ritorni.
“Finora – annuncia il portavoce della Commissione europea – venti Stati membri hanno dato dettagliate indicazioni sui loro contributi”. Si tratta in particolare di Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Ungheria, Italia, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia, ma “anche tutti gli altri hanno mostrato la volontà di impegnarsi”, assicura Schinas. Berlino e Parigi si sono impegnati a mettere a disposizione, ciascuna, 100 persone per i processi di asilo e 200 poliziotti.
C'è poi da regolare tutta la questione legislativa
Perché l'accordo possa funzionare, la Grecia deve modificare la sua legislazione per certificare che la Turchia rientra tra i paesi terzi considerati sicuri, quelli in cui i migranti possono essere rimandati. Proprio in queste ore gli esperti della Commissione europea sono ad Atene per tentare di aiutare il governo a velocizzare le pratiche legislative. La speranza è di arrivare ad emendare la legislazione greca entro il 28 marzo. Prima i ritorni verso la Turchia non saranno consentiti.
Dall'altro lato, intanto, anche Ankara deve mettere mano al suo ordinamento per assicurare le necessarie tutele ai migranti siriani a cui, ad oggi, non viene garantito lo status di rifugiato. Il governo turco ha assicurato che provvederà, ma la pratica resta ancora da vedere.
Il Commissario Nils Muiznieks: “Valutazioni soggettive e rispetto dei diritti”
Sul fronte delle obiezioni all'accordo Ue-Turchia ecco anche la presa di posizione del commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, secondo il quale ora che l'accordo tra Ue e Turchia è stato raggiunto, “massima attenzione deve essere data alla sua attuazione al fine di dissipare una serie di gravi preoccupazioni che l'operazione suscita dal punto di vista dei diritti umani”.
Afferma ancora: “E' positivo che l'accordo contenga alcune garanzie giuridiche, come ad esempio l'adesione alle leggi internazionali ed europee. Questo dovrebbe impedire rimpatri collettivi automatici e offrire una valutazione oggettiva di ogni richiesta individuale di asilo o di protezione internazionale”.
Allo stesso tempo, per il Commissario, per fare in modo che l'accordo rispetti efficacemente i diritti umani, l'Unione europea, la Grecia e la Turchia devono garantire che i principi aggiuntivi guidino l’attuazione del Piano. “Prima di tutto garanzie legali dovrebbero applicarsi non solo ai siriani, ma a tutte le persone che raggiungono la Grecia o qualsiasi altro paese dell'Ue – afferma - In secondo luogo, l'Ue e i suoi Stati membri devono fornire un aiuto urgente per la Grecia, il cui disfunzionale sistema di asilo ha portato a violazioni dei diritti umani dei migranti, in particolare per quanto riguarda le condizioni di accoglienza e di accesso. Questo aiuto dovrebbe assumere la forma di risorse finanziarie e umane, ma anche quella di una ricollocamento dei rifugiati all'interno dell'Unione europea”.
Un ulteriore elemento sollevato dal Commissario è che sia la Grecia che la Turchia devono “limitare l'uso di detenzione dei migranti solo a casi eccezionali, perché l'ingresso e il soggiorno irregolare in un paese non è un crimine. Particolare attenzione deve essere posta a persone particolarmente vulnerabili, come i bambini, le donne incinte e le vittime di tratta e torture”.
E conclude: “Illusorio credere che la sofferenza dei migranti e la pressione sui paesi europei sarebbero scomparsi grazie a questo accordo. E' solo una pezza per chiudere uno dei buchi nell’approccio altamente disfunzionale degli Stati europei alla migrazione. Altre misure più a lungo termine sono necessarie”.
“Proteggere i rifugiati è sia un fatto morale che un obbligo di legge. Non è un compito facile, ma non è neanche impossibile. L'accordo Ue-Turchia può essere parte della soluzione, ma i paesi europei devono fare di più per proteggere coloro che fuggono da guerre e persecuzioni”.
La dura condanna di Caritas italiana
“Il controverso accordo tra l’Unione europea e la Turchia sul rimpatrio dei migranti potrebbe produrre dei risultati drammatici per i profughi che rischiano di essere bloccati per lungo tempo nei campi turchi dove probabilmente nessuno potrà garantire sulla qualità dell’accoglienza e della protezione”: così si pronuncia Caritas italiana in una lunga nota che elenca “forti perplessità” e diversi punti “discutibili”.
“Finora le testimonianze che ci sono giunte in questi cinque anni di guerra sia direttamente dai profughi che dagli operatori impegnati nell’assistenza parlano di violenze sistematiche e reiterate violazioni dei diritti umani fondamentali”, denuncia Caritas. “Decidere di rispedire queste persone dalla Grecia verso la Turchia non può che suscitare una semplice domanda: perché un Paese come la Turchia che non può entrare nell’Ue, in quanto non in grado di rispettare i diritti fondamentali propri di una democrazia moderna, dovrebbe, invece, essere in grado di rispettare i diritti dei profughi rinviati nei suoi campi dalla Grecia?”.
O forse, constata amaramente Caritas italiana, “la priorità della politica è solo di liberare il territorio dell’Unione europea da una presenza ingombrante, a tutti i costi? Fin quando la Turchia non verrà riconosciuta come Paese terzo sicuro, il rimpatrio sarebbe in contrasto con le norme internazionali che impediscono di effettuare un respingimento verso un Paese che non garantisca degli standard minimi di protezione e accoglienza”.
Sir