In fuga da Idomeni, a rischio della vita
Chiusi i confini, un gruppo di migranti ha provato a entrare in Macedonia attraversando un fiume. Tre afghani sono morti annegati. Sempre più insostenibile la situazione nel campo profughi greco, ma tra freddo e fango, l’immagine della neonata Bayan dà ancora un po’ di speranza
Hanno provato a superare il confine cercando una strada alternativa per aggirare le barriere ed entrare in Macedonia: centinaia di migranti hanno lasciato l’accampamento di Idomeni, in Grecia, per attraversare il fiume in piena Suva Reka. Catene umane, anziani legati a corde per non perdere l’equilibrio a contatto con il fondo scivoloso, bambini in braccio ai genitori: in molti hanno tentato di raggiungere l’altra sponda, ma due uomini e una donna afghani sono morti annegati durante l’impervio attraversamento. Arrivati sull'altra riva, hanno dovuto superare una barriera alta tre metri e puntellata con del filo spinato, ma la polizia greca non ha ostacolato il tentativo di fuga, avvisandoli che sarebbero stati rispediti dall'esercito macedone.
Idomeni, imbuto senza via d'uscita tra pioggia e fango
Prima della chiusura dei confini, a siriani e iracheni, considerati profughi provenienti da zone di guerra, veniva data l'autorizzazione a procedere, al contrario, invece, degli afghani, ma da quando, lungo la rotta balcanica, Macedonia, Slovenia e Serbia hanno chiuso i loro confini, in molti stanno cercando di superare clandestinamente la frontiera e proseguire verso l'Europa occidentale.
E più passano i giorni, più la situazione a Idomeni tende al collasso: dopo aver solcato l’Egeo su barconi fatiscenti, i migranti percorrono tutta la Grecia prima di stabilirsi nel campo profughi, ultimo passaggio prima di entrare in Macedonia. Ora quel pezzo di terra è un imbuto dove più di 14mila persone sono accampate “alla meglio” in tende che non riparano dalle temperature fredde, tra fango, pozzanghere e la pioggia che scende copiosa da giorni. Al clima si aggiunge anche la scarsità di cibo e la quasi totale assenza di condizioni igieniche: per un pezzo di pane ci si mette in coda anche per un’ora e mezzo.
L'immagine di Bayan, la piccola siriana nata in Turchia
Uno scenario disumano nel campo di Idomeni, dove gli abitanti sono soprattutto bambini, più di seimila: ha avuto un grande risalto mediatico la foto di una bambina con pochi giorni di vita, sorretta dalla madre mentre il padre la lavava con l’acqua di una bottiglia di plastica. Si chiama Bayan, ha quasi un mese di vita, è lì con i genitori, fratelli e sorelle scappati da Idlib, in Siria. Ibrahim, il padre, aveva un piccolo negozio, ma quando la guerra è entrata in città, hanno deciso di fuggire, nonostante la moglie Sulaf fosse incinta.
Hanno superato il confine con la Turchia, sono arrivati a Smirne e, quando erano già su una barca sovraccarica, sono dovuti scendere perché la moglie era prossima a partorire. Bayan è nata in un accampamento di fortuna e, dopo appena tre giorni, con Sulaf che a malapena si reggeva in piedi, sono partiti nuovamente mettendo piede, finalmente, sull'isola greca di Samo. Pensavano di aver superato il peggio e che la Germania fosse distante solo qualche giorno, ma di Idomeni e dell’Europa che ha chiuso i suoi confini non sapevano ancora nulla.