La Giungla di Calais rinasce come la fenice
Nella bidonville francese sorta accanto all’ingresso del tunnel della Manica, vivono 3.500 persone in attesa di riuscire ad arrivare in Gran Bretagna. Di questi 400 circa sono bambini, di cui molti orfani. A fine febbraio le autorità di Calais hanno “gestito” lo sgombero per le condizioni malsane. Ma il futuro è tutto da scrivere.
Alcuni ragazzi raccolgono il legno da quello che rimane delle tende ormai distrutte: lo useranno per accendere un fuoco durante la fredda notte francese.
A Calais, nella cosiddetta Giungla ora ci sono solo spianate e vento gelido, non c’è più resistenza, ma rassegnazione. Dopo continui slittamenti, dalla mattina di lunedì 29 febbraio è iniziato lo sgombero forzato della zona sud del campo profughi più grande d’Europa, sorto lungo la costa settentrionale della Francia vicino all’ingresso del tunnel della Manica.
Un limbo che sa più d’inferno che di paradiso: qui migliaia di migranti aspettano giorni interi per provare a entrare nel Regno Unito, intrufolandosi tra pertugi e pericolosi passaggi improvvisati su tir. Nella bidonville vivono circa 3.500 persone (per la prefettura, invece, sono mille), di cui 400 sono bambini e adolescenti, buona parte dei quali senza genitori.
I bulldozer, che da diversi giorni circondavano i bordi del campo come avvoltoi portatori di una minaccia ormai reale, protetti da decine di agenti della polizia in antisommossa, hanno demolito baracche e tende improvvisate e la situazione, tesa e insopportabile, è degenerata immediatamente: un gruppo di migranti, assieme a militanti del movimento No borders, ha dato fuoco ad alcuni capannoni, mentre altri hanno lanciato sassi contro gli agenti che hanno risposto con gas lacrimogeni e granate stordenti.
Con i fumi e le fiamme delle case incendiate, ridotte a scheletri bruciati, quando sono riprese le attività di sfollamento, una dozzina di migranti è salita sui tetti delle abitazioni di fortuna per protestare: una donna ha tentato di tagliarsi i polsi in un tentativo di ribellione alla distruzione del campo, mentre alcuni ragazzi iraniani si sono cuciti la bocca come gesto estremo per farsi ascoltare.
Dopo la decisione del tribunale amministrativo di Lille di evacuare la parte sud della vasta tendopoli, il sindaco di Calais, Natacha Bouchart, aveva garantito il carattere “umanitario” dello sgombero, necessario a causa delle pessime condizioni igieniche.
Container riscaldati e assistenza nei centri di accoglienza sono le proposte alternative del governo di Hollande che, però, sono viste di cattivo occhio da chi vive lì
Entrare in strutture controllate dallo stato, infatti, significherebbe chiedere asilo in Francia, essere smistato in altre regioni del paese e, dunque, abbandonare il sogno di entrare in Gran Bretagna.
Tuttavia, nella Giungla l’umanità si è ripresa la sua dignità e i suoi spazi: in un luogo sommerso da fango perenne e odori chimici delle industrie limitrofe, la vita ha continuato a scorrere. Tra ristoranti africani e mediorientali, un barbiere, chiese e negozietti, l’ingegno umano ha provato a rendere più accoglienti spazi freddi e senza anima.
Il filosofo Albert Camus sosteneva l’importanza della cultura: «Senza di essa e senza la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla» e proprio dalla Giungla gli abitanti hanno provato a scrollarsi di dosso quest’etichetta e così la cultura qui dentro è diventata un bene primario: sono sorte delle scuole, ma soprattutto un teatro, valvola di sfogo per giovani e meno giovani, che si ritrovano e si esibiscono o partecipano come spettatori.
Non sempre a Calais gli abitanti sono stati siriani, afghani, pachistani o provenienti dall’Africa nera
A metà degli anni Novanta, a causa della guerra in Kosovo, un gran numero di persone cercò di spostarsi dai Balcani verso l’Europa centrale. Per far fronte al crescente numero di migranti, la Croce rossa aprì un centro di accoglienza in un grande capannone a Sangatte, usato, in passato, come deposito per i lavori di costruzione del tunnel della Manica. A causa, però, delle pressioni del governo britannico, la Francia decise di chiudere il campo anzitempo.
La storia, insomma, è ciclica
Allora come oggi, dopo aver sgomberato il campo, ne è nato uno nuovo e quelli che oggi scappano sono convinti: se non riusciranno a entrare in Inghilterra, nascerà una nuova Giungla in attesa di riuscirci.