Front National primo partito. I “populismi” europei non hanno confini
Netto successo della destra estrema alle elezioni regionaali. Seguono gollisti e socialisti. I meriti della leader nazionalista e le colpe degli avversari. L'Europa attende gli esiti dei ballottaggi del 13 dicembre e intanto fa i conti con il diffondersi di formazioni politiche nate "dal basso", estranee ai partiti tradizionali e, in genere, euroscettiche.
Gli attentati e i 130 morti di Parigi; la forte presenza straniera; disoccupazione e stagnazione economica; periferie urbane trascurate e disagiate. E un ruolo internazionale sbiadito, nonostante i raid in Siria.
Sono solo alcuni dei tratti della Francia recatasi ai seggi domenica 6 dicembre per il voto regionale, elementi sui quali si fonda l’indubbio successo del Front National al primo turno elettorale, con il partito guidato da Marine Le Pen al 28%, in pole position per il ballottaggio di domenica prossima in 6 delle 13 regioni del Paese. Seguono il centrodestra gollista di Nikolas Sarkozy, con il 27% dei consensi, e i socialisti del presidente François Hollande (23%).
Dalle regioni all’Eliseo?
Il ritorno alle urne del 13 dicembre potrebbe ridimensionare il Front National grazie alla desistenza tra gollisti e socialisti, come fu ai tempi del ballottaggio tra Chirac e Le Pen padre alle presidenziali del 2002.
In questo caso un buon sistema elettorale e un solido architrave repubblicano potranno attutire i colpi del populismo lepenista. Che peraltro non può essere derubricato a folklore politico o a “voto di pancia”: perché se milioni di cittadini di uno Stato democratico e garantista scelgono il Fn le ragioni vanno cercate altrove. Per capire la Francia di oggi e anche l’Europa di oggi.
Marine Le Pen è infatti una politica abile, navigata, concreta.
Ha rinnovato il volto di un partito che era scaduto nel razzismo, ne ha rinnovato il vecchio bagaglio carico di demagogia, ha tenuto dritta la barra del nazionalismo (che in Francia ha sempre successo) con forti venature antieuropeiste proprio nel momento in cui l’Europa si dimostrava in difficoltà. Oggi il Fn pesca voti da nord (Calais) a sud (Costa Azzurra, Pirenei), nelle città e nei villaggi di campagna.
Il partito si è allargato a volti spendibili elettoralmente, fra cui la giovane nipote Marion. Marine Le Pen può dunque permettersi di spiegare ai francesi che del Front National si possono fidare, affidandogli oggi la guida delle amministrazioni regionali e magari domani addirittura l’Eliseo.
Meriti e demeriti.
Il risultato del Fn deve essere però ascritto, oltre che ai meriti della Le Pen, anche ai demeriti della destra repubblicana e della sinistra socialista ed ecologista: due schieramenti ancora frazionati al loro interno (altre due forze, una di destra e l’altra di sinistra “eco”, hanno raccolto rispettivamente il 3% dei voti), indebolitisi politicamente negli ultimi anni e senza un’identità riconoscibile dagli elettori.
Sarkozy punta l’indice verso Hollande e i socialisti, trascurando il fatto che lui stesso aveva perso credibilità e le simpatie dei francesi, tanto da consentire la vittoria di Hollande nel 2012. L’attuale presidente del resto si è trovato a guidare il Paese nel pieno della crisi economica e della minaccia terroristica, con il doppio colpo di Charlie Hebdo e del Bataclan, l’emergenza-profughi e il fattore-Isis.
Populismi diffusi. L’esito del voto francese è stato peraltro letto con qualche eccesso di catastrofismo massmediale.
Le Pen in Francia prende, in un voto regionale, quanto, o addirittura meno, di altre forze cosiddette “populiste” in altri Paesi: si pensi a Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia; oppure a Polonia, Grecia, Danimarca e Ungheria dove nazionalisti o populisti di varia marca sono già al potere; senza trascurare il caso spagnolo, con l’imminente voto parlamentare del 20 dicembre e una presenza di formazioni politiche nate “dal basso” (Podemos, Ciudadanos), dalla piazza, ed estranee agli schieramenti partitici tradizionali.
Questo non per sminuire il significato del voto francese, ma semmai per collocarlo in uno scenario europeo che va indubbiamente nella direzione dei populismi premiati dagli elettori.
Nessuna bacchetta magica.
Quindi le analisi che oggi si moltiplicano guardando Parigi dovrebbero tener conto del fatto che i timori diffusi nell’opinione pubblica – innescati da crisi economica, immigrazione, terrorismo, minacce esterne – non hanno confini; che la modesta credibilità dei partiti tradizionali si respira dalla Scandinavia fino alla Sicilia, da Lisbona ai Paesi ex comunisti; che cresce tra gli elettori l’influenza degli slogan iperbolici tipici di internet, compresa una “voglia di semplificazione”, di “bacchette magiche” e di ricette pronte all’uso dinanzi ai grandi problemi del nostro tempo.
I quali invece richiedono analisi approfondite e risposte articolate e complesse, prodotte da una buona politica, a sua volta fondata su valenze etiche radicate, identità rafforzate, una spiccata predisposizione al dialogo, il tutto per una concreta e lungimirante azione di governo.