Il contrabbando del legname dietro alla crescita della Cambogia
Le foreste della Cambogia nordorientale vivono dal 2006 in stato permanente di assedio. Le concessioni forestali garantite ad aziende, per lo più straniere, per lo sfruttamento del legname appaiono oggi come uno dei volani per lo sviluppo scelto dalla nazione del Sud-est asiatico.
Si calcola che solamente negli ultimi 12 anni il 7 per cento della copertura boschiva del paese sia scomparsa: un dato che compete con quello di Malesia e Indonesia, i più alti del continente.
Nelle sole province di Ratanakkiri e Stung Treng, dove le popolazioni indigene hanno nelle foreste il loro habitat ancestrale, sono stati tagliati e commercializzati circa 243 mila metri cubi di legname, equivalente a 81 mila alberi.
Il dato è stato fornito durante un recente convegno organizzato da alcune ong e dal Parco nazionale di Virachey per discutere il rapporto “Legname e patronato: il disboscamento sistematico illegale e la distruzione delle foreste statali e delle aree protette” che mette in evidenza come i beneficiari di queste vere e proprie operazioni di contrabbando siano i vicini Cina, Laos e Vietnam.
Cresce il disagio delle popolazioni locali espropriate di terreni su cui vivono un’economia di sussistenza. Per molti abitanti, d’altro canto, il taglio illegale degli alberi è divenuto un’alternativa alla povertà e alla disoccupazione: è dunque in atto una competizione tra aziende del legname e comunità locali a discapito dell’ambiente.