Alberto Friso e il “suo” frate archeologo Michele Piccirillo
Edito da San Paolo, Il cielo sotto le pietre del giornalista padovano Alberto Friso racconta l'affascinante storia del frate archeologo Michele Piccirillo, consegnando al lettore una speranza di pace per il Medio Oriente tra le pieghe del suo romanzo.
Non tradendo il filone francescano delle sue prime due opere dedicate ai beati martiri polacchi fra Miguel e fra Zbigniew, martirizzati nel 1990 in Perù e beatificati da papa Francesco a dicembre 2015, Alberto Friso (nella foto, il primo a sinistra durante la presentazione milanese) firma il suo primo romanzo. Ne Il cielo sotto le pietre, edito da San Paolo all'interno della collana “Vite esagerate”, il giornalista padovano, caposervizio al Messaggero di Sant'Antonio dal 2012, racconta la storia avventurosa di padre Michele Piccirillo, archeologo in Terrasanta e Medio Oriente mancato nel 2008, e la usa quasi come pretesto per narrare come nell'antichità, tra sesto e nono secolo, in Giordania la convivenza fra cristiani e musulmani fosse naturale, un fatto tangibile.
In una Padova ben tracciata, il giovane universitario Luca viene messo davanti a una prova a dir poco complicata dalla temutissima professoressa di archeologia Sartori: scrivere una tesina biografica sull'archeologo francescano da poco scomparso.
È lo stesso Alberto Friso a raccontare come quest'opera sveli la storia di un altro francescano coraggioso, dalla biografia affascinante e poco conosciuta: «Del resto, anch’io condivido da laico la vocazione francescana, quindi il legame con i frati è forte e costante. Vivere da dentro la spiritualità delle persone che ho raccontato mi è stato utile per provare a evocarne la spiritualità attraverso la parola scritta. Questo è il tentativo: solo il lettore poi potrà giudicare se l’intento è stato raggiunto». In questo libro Alberto Friso, inoltre, torna alle origini del suo percorso universitario, all'archeologia, e alla laurea in lettere classiche all'università di Padova. «Il cielo sotto le pietre mi ha costretto a fare i conti con un’altra radice personale, la mia formazione classica e archeologica. Quando è nato il progetto, è stato il poeta Davide Rondoni, curatore della collana “Vite esagerate” di cui il libro fa parte, ad affidarmi fra Michele Piccirillo. La sfida – scrivere un romanzo accattivante, leggibile anche da un giovane scettico o distante dalla fede – è stata costruita a pennello sul mio curriculum: Rondoni ha intuito che il personaggio era nelle mie corde. Il libro poi è ambientato a Padova, protagonista Luca, uno studente di archeologia al quale viene affidata una tesi su un certo famoso archeologo da poco scomparso».
Ma chi era padre Piccirillo? Perché un libro su di lui? «È la stessa domanda che si pone Luca, arrabbiato di doversi occupare di un archeologo che è anche frate: nella sua mentalità laicista sono due figure non sovrapponibili, anzi una esclude l’altra… Perché una tesi su di lui?
In realtà Luca scoprirà che Piccirillo è stato una figura affascinante, ricca di sfumature, quasi ottocentesca, leggendaria. Uno scopritore di città: Umm al-Rasas, nel deserto giordano, centro romano, poi bizantino e quindi arabo, testimonianza della convivenza pacifica tra cristiani e musulmani tra sesto e nono secolo, riconosciuto patrimonio dell’Unesco. Un valorizzatore di tesori: su tutti il monte Nebo, da lui scavato e sistemato, reso accogliente per i pellegrini delle tre religioni del libro che lì salgono per far memoria di Mosè. Infine un uomo di pace, vero figlio di san Francesco, che ha dimostrato restituendo centinaia di metri quadrati di pavimenti mosaicati in Giordania, Israele, Palestina, Siria, Egitto, Libano e promuovendo buone relazioni con tutti che un futuro diverso per il Medio Oriente è possibile».