L'eredità di morte di Sayyid Qutb
Nelle diverse forme di terrorismo che da sempre insanguinano la storia, quello di matrice islamista, o meglio jihadista, si pone chiaramente come la mannaia di questo primo segmento del terzo millennio.
Il terrorismo jihadista colpisce dappertutto, con il risultato che a pagare è sempre la povera gente; poco importa che si tratti delle vittime di New York, Madrid, Londra, Bruxelles, Parigi, Bamako, Ouagadougou o Lahore. Per non parlare di altri scenari infuocati e meno mediatizzati come la tormentata Somalia dove dal lontano 1991, di fatto, lo stato di diritto è letteralmente imploso, o anche il nord-est della Nigeria, dove le stragi si susseguono quasi quotidianamente, ma sono di fatto scomparse dalla grande informazione internazionale dopo che a suscitarne l’interesse era stato, tre anni fa, il rapimento di oltre duecento ragazze da parte del gruppo jihadista Boko Haram.
E questo fa riflettere su come di un tale aberrante fenomeno parlino un po’ tutti – in primis noi giornalisti – senza cercare di indagare davvero le idee che lo hanno prodotto e le ragioni del suo radicamento, tradotto in sistematici misfatti. In realtà, come in tutte le teorie assolutiste, anche questo delirio di feroce onnipotenza ha avuto un’origine precisa.
Gioverà allora riavvolgere la moviola della storia e fissare l’attenzione su un certo Sayyid Qutb. Nato all’inizio del Novecento nell’alto Egitto, questo signore influenzò non poco il pensiero di molti integralisti appartenenti a schieramenti diversi, dal sunnita wahabita Osama Bin Laden all’ayatollah sciita Khomeini. Qutb fu fatto arrestare dal regime nasseriano per la violenza eversiva delle sue idee. Negli anni che trascorse in carcere (prima dell’impiccagione) radicalizzò le sue teorie rendendole, in un certo senso, più fruibili.
In qualche modo fece come Hitler, che pescò da teorie di presunta superiorità di razza per portarle alle spaventose conseguenze che tutti conosciamo. La parola chiave del suo vocabolario è jahiliyyah. Si tratta di un termine che nel linguaggio islamico indica l’epoca dell’ignoranza, cioè quella precedente la rivelazione coranica. Qutb ne perverte il significato accomunando in tale ignoranza i sistemi democratici, il comunismo sovietico, i regimi arabi, opponendoli al vero islam, quello che il jihad deve imporre, rovesciando con le armi i regimi arabi contaminati dalle politiche coloniali che seguono leggi umane e non la legge divina, quindi sono degli usurpatori.
Di fatto la teorizzazione di Qutb ha plagiato molte coscienze nella vasta costellazione jihadista, fautrice dell’imposizione, senza sé e senza ma, della sharìa, la legge islamica. Molti di questi movimenti – da ultimo quello aberrante dell’Isis – sono nati con una forte connotazione territoriale, da Al-Qaida nel Maghreb islamico ad Al-Shabaab in Somalia, per non parlare di Boko Haram in Nigeria. Col risultato che queste organizzazioni criminali hanno di fatto strumentalizzato la propria religione, per fini eversivi, affermando un’ideologia mortifera e alienante. Data tale dislocazione territoriale, la maggior parte delle loro vittime sono musulmani, anche se la loro propaganda si caratterizza per le invettive contro i cristiani.
Questo per due ordini di motivi: il primo è l’identificazione del cristianesimo come metafora dell’Occidente in preda ai tentacoli di satana, dimenticando per grossolana ignoranza che Gesù Cristo nacque in Palestina, dunque in Medio Oriente. Il secondo è che si tratta di gruppi tutt’altro che inchiodati a un passato più o meno mitico (il Califfato che dicono di voler restaurare), ma che sanno usare benissimo gli strumenti della modernità. Vale per la capacità di trovare armi e finanziamenti da quei governi e paesi che in teoria dicono di combatterli. Vale soprattutto perché conoscono bene gli schemi della grande comunicazione. Sanno infatti benissimo che colpendo target cristiani, come nel caso del recentissimo attentato suicida a Lahore, bucano lo schermo ottenendo la massima visibilità.
Due giorni prima, per fare un esempio, oltre 40 persone, molte delle quali giovanissime, hanno perso la vita nell’attacco suicida avvenuto durante una partita di calcio a Iskanderiyah, in Iraq. L’attentato, avvenuto nel piccolo stadio del villaggio, è stato rivendicato dall’Isis che, in un messaggio, ha affermato di aver preso di mira i miliziani shiiti. Questo massacro è passato in sordina sulla stampa nostrana, mentre invece quello di Lahore ha ottenuto le prime pagine. Ripetendo cioè uno schema che domina da anni, con poche significative eccezioni via via sempre più ridotte al silenzio. E questo pone un problema di fondo che riguarda sia l’etica dell’informazione sia l’onestà intellettuale tout court. I terroristi jihadisti uccidono chiunque si opponga al loro delirio; anzi uccidono soprattutto chi vive l’islam come una religione di pace.