C'è un mondo da rinnovare
Il nuovismo quasi mai ha dato buona prova di sé. Spesso, anzi, i “nuovi” manifestano gli stessi vizi dei “vecchi”, con in aggiunta la mancanza di esperienza. Rinnovarci, invece, è un delicato esercizio interiore, certo faticoso ma mai inutile. Questo mi pare sia l’augurio più bello che possiamo farci e la speranza migliore con cui guardare al nuovo anno. Non andiamo in cerca di “mondi nuovi”: quel che ci serve sono “cuori rinnovati”. E forse per questa strada sapremo anche rinnovare il mondo.
In questi giorni a cavallo tra vecchio e nuovo anno, è impossibile non gettare uno sguardo al 2016 che ci lasciamo alle spalle.
Un anno straordinario, per molti versi, a partire dall’esperienza del giubileo della misericordia che ha segnato in profondità il cammino della nostra chiesa e ha lasciato un’impronta profonda nel cuore di tanti di noi. Ma anche un anno ricco di sorprese, attraversato da inquietudini, destinato con ogni probabilità a segnare uno spartiacque, una frontiera tra il prima e il dopo.
Pensiamo all’Europa, colpita al cuore su due diversi piani: dagli attentati di Nizza e Berlino, nuovi episodi di una scia di sangue inauguratasi giusto due anni fa con l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi; e dal referendum con cui gli inglesi hanno deciso di uscire dall’Unione.
Un passaggio clamoroso, che ha reso evidente anche ai più testardi sostenitori delle istituzioni comunitarie il senso di frustrazione, smarrimento, rivolta che cova tra i cittadini e che a ogni passaggio elettorale si va acuendo. Il grande sogno, la grande “narrazione” di un continente capace di uscire dalle macerie della seconda guerra mondiale e da secoli di guerre fratricide scommettendo sull’integrazione e sulla pace, rimesso nel cassetto e sostituito da un nostalgico aggrapparsi ai valori del “bel tempo che fu”, alle identità nazionali, all’autarchia economica.
Pensiamo agli Stati Uniti, che si congedano da Barack Obama ed eleggono presidente un candidato come Donald Trump che ha fatto quasi corsa a sé, in aperta polemica perfino con il suo partito, indicando anche lui – tra una provocazione e l’altra – l’orizzonte di una America da “rifare grande” a forza di dazi doganali per difendere l’industria manifatturiera, muri di cinta alle frontiere per respingere l’immigrazione clandestina, l’intesa con la Russia come base di un nuovo equilibrio mondiale che guarda con disinteresse alla tradizionale alleanza atlantica con l’Europa.
Pensiamo all’Italia, dove la riforma costituzionale si è trasformata nella tomba del governo Renzi. Forse perché scritta male, forse perché sacrificata sull’altare delle convenienze politiche, forse perché diventata l’occasione per trasformare in un forte voto di protesta il malessere figlio di quasi dieci anni di crisi dura, cattiva, che sta scavando un solco tra i (pochi) ricchi e i sempre più numerosi poveri, spingendo anche l’ex classe benestante a ingrossare le fila di questi ultimi.
Il 2017 che si apre promette di essere l’anno in cui vedremo concretizzarsi gli scenari che il 2016 si è incaricato di delineare. Per il nostro paese sarà quasi sicuramente anno di elezioni politiche, e per Padova anche di elezioni amministrative. Per gli Stati Uniti si aprirà con il giuramento di Trump e vedremo se gli slogan da campagna elettorale si tradurranno poi anche in scelte radicali. Per l’Europa dovrà necessariamente essere un anno di svolta – o perlomeno così ci auguriamo – se non vogliamo che i tanti sassi che già hanno preso a rotolare si trasformino in una valanga destinata a travolgere fin dalle fondamenta il progetto comunitario.
Anche per la nostra chiesa – quella italiana e quella diocesana – sarà un anno ricco di sfide. C’è da far fruttare il giubileo, c’è da continuare in un ripensamento complessivo che riguarda priorità, stili pastorali, scelte organizzative in fedeltà al magistero fecondo e innovativo del papa.
Padova, giusto per ricordare un altro dei momenti che resteranno impressi nella memoria del 2016, ha accettato nei mesi scorsi la sfida di pubblicare il bilancio della diocesi: scelta di trasparenza, ma anche indicazione di un metodo, di uno stile che deve essere proprio dei cristiani e che si accompagna alle priorità ben indicate dal vescovo Claudio.
Il 2017 vedrà entrare nel vivo il cammino verso il sinodo dei giovani e quello per i “Cantieri di carità e giustizia" annunciato lo scorso giugno: giovani e poveri, ci dice il vescovo, sono le due grandi priorità attorno a cui rimodellare il nostro impegno. Sapremo essere all’altezza di tante sfide, in campo ecclesiale come in campo civile?
Il dubbio, la paura di non farcela, sono inevitabilmente dietro l’angolo e rischiano di paralizzarci. Eppure, credo mai come oggi, è forte la consapevolezza che se non riusciamo a cambiare marcia, questa nostra società è destinata a implodere nel breve volgere di pochi anni.
Papa Francesco, nel rivolgere i suoi auguri alla curia romana, ha ricordato un criterio fondamentale: se cambiare si deve, non si risolvono i problemi semplicemente cambiando le persone. Quel che serve, è la conversione individuale. Insomma, chi pensa che l’importante sia “cambiare”, che la soluzione sia “il nuovo”, rischia quasi sempre di andare a sbattere contro un muro. Non basta cambiare il personale – e qui potremmo parafrasare o allargare il concetto ai politici, ai banchieri, ai finanzieri, ai burocrati, magari anche ai giornalisti – perché il problema non è avere “nuovi uomini” ma “uomini rinnovati”.
Il nuovismo quasi mai ha dato buona prova di sé. Spesso, anzi, i “nuovi” manifestano gli stessi vizi dei “vecchi”, con in aggiunta la mancanza di esperienza. Rinnovarci, invece, è un delicato esercizio interiore, certo faticoso ma mai inutile. Questo mi pare sia l’augurio più bello che possiamo farci e la speranza migliore con cui guardare al nuovo anno. Non andiamo in cerca di “mondi nuovi”: quel che ci serve sono “cuori rinnovati”. E forse per questa strada sapremo anche rinnovare il mondo.