Monselice, la sorte ignota dell’ex Italcementi
L’equivoco della promessa (mai ratificata) di un master plan. Il tentativo di dialogo tra le parti sociali e gli amministratori. Intanto i lavoratori in cassa integrazione attendono e sperano. La regione per il momento non ha manifestato le proprie intenzioni. E Monselice guarda con crescente preoccupazione al futuro.
È una vicenda che si trascina da anni e che ora sembra vivere un momento di stasi, se non addirittura di impaludamento.
Dopo il dibattito sul revamping, la decisione (sofferta) di dire no alla proposta della proprietà per modificare l’impianto, l’annuncio di Italcementi di mollare tutto (con la perdita di una sessantina di posti di lavoro, oltre all’indotto), il dibattito si è spostato sul futuro dell’area: che cosa diventerà il grande spazio (228 mila metri quadrati) di uno degli ex cementifici di Monselice?
I fatti recenti lasciano qualche perplessità sia sulle reali volontà di risolvere la questione, sia sui tempi che in ogni caso si intendano fissare.
Con la delibera del consiglio comunale della città della Rocca (la 62 del 18.11.2014) si è provveduto a istituire una commissione consiliare temporanea, per l’esame delle soluzioni possibili per la riconversione dell’area; senza la minima modifica, il 12 maggio dell’anno seguente il consiglio comunale, all’unanimità, ha approvato il protocollo di intesa da sottoscrivere tra la società proprietaria dell’azienda, la Italcementi, il municipio di Monselice, la provincia di Padova e la regione.
Nel testo, steso dalla stessa ditta, si afferma che «Italcementi si impegna a redigere il master plan a proprie spese e in accordo con le linee guida e i criteri indicati dal presente protocollo d’intesa. Entro sei mesi dalla sottoscrizione del presente atto la società dovrà sottoporre alle amministrazioni la prima stesura del master plan; nella fase di stesura della prima bozza dovranno essere previsti incontri intermedi di verifica con le amministrazioni».
Bisogna tuttavia attendere fine 2015 perchè la stessa approvazione avvenga in provincia e gennaio 2016 per il passaggio in giunta regionale. Nel frattempo, estate 2015, Italcementi rende nota la procedura di vendita alla multinazionale tedesca Heidelberg.
Il protocollo? Solo sulla carta...
«Solo ora – commenta Francesco Miazzi del comitato Lasciateci respirare – qualcuno sembra scoprire che Italcementi, il protocollo redatto dalla stessa, non lo ha mai sottoscritto (vero) e forse diventerà carta straccia. In questi due anni, maggioranza e minoranza, hanno viaggiato a braccetto facendo l’occhiolino all’assessore regionale Elena Donazzan e magnificando i progressi della “politica del dialogo”, che però non ha portato a nulla».
«Non siamo contro il dialogo – aggiunge Miazzi – ma questo deve servire per produrre cose concrete. In questo periodo di 24 mesi ha semplicemente cercato di mascherare un fallimento totale. Basta leggere i quotidiani per ritrovare dichiarazioni entusiaste, bipartisan che annunciavano l’imminente arrivo del fantomatico master plan di Italcementi. Per due anni si sono illusi lavoratori e cittadini, si sono fatte manovre per escludere comitati e associazioni ambientaliste dagli incontri, per arrivare oggi ad un nulla di fatto».
Le ipotesi: Museo europeo del paesaggio o parco agricolo
Per il momento sono due, in attesa del master plan di Italcementi (se mai arriverà), gli studi per una possibile riqualificazione dell’area dell’ex cementificio.
Il primo progetto è il Muppe (museo dei parchi e dei paesaggi europei), un format “continentale” che mira a coinvolgere tutti i paesi dell’Unione Europea.
Dal punto di vista progettuale, il ragionamento dell’ideatore, l’architetto Davide Ruzzon, è semplice e storicamente motivato: l’ex cementificio, da quando è sorto negli anni Cinquanta, è stato un “muro” tra la città (Monselice) e i colli, una cesura netta e lacerante che ora si vorrebbe ricucire, dando alla nuova opera il significato di una “cerniera” proprio tra la Rocca e gli Euganei.
La parte più consistente del progetto consiste nel riutilizzo della grande “basilica” centrale (oltre 200 metri di lunghezza e una trentina di altezza) del cementificio.
Qui dovrebbero essere ospitati una serra con le flora dei colli, una sala convegni (350 posti), un ambito per mostre tematiche itineranti, spazi per i 28 paesi Ue, cioè una serie di “bolle” che consentirebbero un viaggio multimediale tra le bellezze europee; inoltre il museo del cemento, un’area ristorazione, la sede del Parco colli, la “reception degli alberghi diffusi”.
Il riutilizzo del corpo principale della cementeria permetterà di ospitare 15 mila metri quadri di pavimento; il resto delle strutture di Italcementi, secondo questo progetto, sarà demolito: i materiali derivanti riutilizzati per realizzare un terrazzamento, poi boschi, di castagno a nord e di roverella a sud, con spazi attrezzati per i visitatori. In questo ambito potranno trovare spazio anche esercizi commerciali.
Nella vita del Muppe, il momento cruciale sarà rappresentato da un festival periodico di produzioni multimediali, al quale parteciperebbero i paesi europei. Costi di realizzo: 35 milioni di euro, 10 di derivazione pubblica (anche europea), 25 dai privati, sfruttando in particolare l’art bonus. Costo di gestione: un paio di milioni all’anno, con l’obiettivo di attirare 15 mila visitatori al mese.
Un secondo progetto, presentato nel corso di una serata voluta dai comitati, è frutto di una tesi di laurea magistrale in architettura di Elena Favaro, Amalia Mazzetto e Filippo Parolin, “Area Italcementi, dall’archeologia della produzione alla produzione del paesaggio”, che sviluppa la proposta di trasformare l’area dell’ex cementificio Italcementi in un parco agricolo dei colli Euganei.
L’idea portante, sostenuta dalla tesi, è quella di non demolire completamente l’attuale manufatto per ricostruire, ma di operare nel recupero e nel riutilizzo degli spazi, mantenendo i tratti caratterizzanti dell’archeologia industriale presente e facendola riconciliare col paesaggio circostante.
Un progetto che propone “una visione complessiva e integrata” dell’area ex Italcementi, limitando al massimo gli interventi e cercando di valorizzare il già presente, coniugandolo con le vocazioni originarie della zona.