Il cineforum Antonianum compie 70 anni
Compie settant'anni il cineforum Antonianum e lo spirito resta sempre quello di un tempo: formare spettatori critici e appassionati che sappiano analizzare e capire quello che viene proposto sul grande schermo.
Cosa è rimasto costante nei 70 anni di vita del cineforum Antonianum? Non c’è dubbio: il dibattito finale che corona la visione del film. Lo afferma con sicurezza la nuova presidente, Clara Boschetti, che viene da una lunga “militanza” prima tra il pubblico e poi nel direttivo del cineclub. Lo conferma Michela Toffanin, che è stata a sua volta per trent’anni, tra il 1980 e il 2010, appassionata frequentatrice, da liceale “bucatessere” a componente del direttivo e poi presidente, fino a pochi anni fa. A lei si deve anche un articolo che, in occasione della chiusura dell’Antonianum, ha sintetizzato i ricordi degli ultimi vent’anni.
Il senso di partecipare a un cineforum non si esaurisce nel fatto di poter vedere i migliori film della precedente stagione, scelti da persone che, negli anni, si sono consolidate nel gusto e nella competenza, fervente ed entusiasta. Appassionati che trovano anche il tempo di frequentare i festival e la mostra del cinema. E che “portano a casa”, con i titoli dei grandi maestri, quelli di cinematografie emergenti che nella programmazione normale scivolano via inosservati.
Uno sforzo anch’esso importante, e certo gli esempi non mancano: tra la ventina di film scelti ogni anno c’erano opere di grandi registi o titoli “difficili” che pure avevano vinto manifestazioni internazionali. E certe volte, negli anni passati, ci si scontrava con una certa forma di censura che impediva di far vedere opere ritenute “inaccettabili” dal punto di vista etico. Una “censura” talvolta poco comprensibile o comunque discutibile nei suoi criteri, che oggi per fortuna è stata superata.
Ma il cineforum non è nemmeno solo l’occasione per documentarsi su questo o quel regista, questo o quel filone espressivo, per approfondire questa o quella tematica d’attualità con l’aiuto di esperti e testimoni. Eppure anche questa è una caratteristica rilevante dei cineforum, che offrono solide introduzioni di carattere stilistico e contenutistico. Quando si proiettò Il muro di gomma, per esempio, negli anni Novanta, si andarono a cercare i giornalisti che avevano partecipato direttamente all’inchiesta su Ustica; quando si sono programmati film sull’handicap sono stati invitati testimoni importanti. E, per risalire ancora più indietro, quando fu presentato un film del regista indiano Satyajit Ray si invitarono anche due studenti indiani, uno dei quali induista, ospiti del Cuamm. Negli anni d’oro, ricordano le due testimoni, quando le tre proiezioni settimanali rastrellavano, tra studenti delle superiori, universitari e adulti, 1.200 iscritti, fare cultura cinematografica significava anche entrare nel vivo del linguaggio audiovisivo.
Con corsi su “Cinema e racconto”, “Cinema, l’immagine e il sonoro”, “Dal cinema alla videorealtà”. Ma non era ancora questa “l’essenza” del cineforum il quale, secondo la formula lanciata nel dopoguerra da padre Morlion e che trovò pronta eco a Padova, trova la sua importanza nel formare spettatori educati allo spirito critico, che non subiscono passivamente le suggestioni del racconto, ma lo sanno analizzare, capire, interpretare ed esprimere, con l’aiuto dell’animatore e dei compagni di sala. Per questo un tempo la partecipazione al dibattito era obbligatoria (almeno mezz’ora) e perfino le studentesse dei collegi universitari erano autorizzate a rientrare oltre il “coprifuoco” delle undici.
Da questo punto di vista, una forte scossa al principio costituente del cineforum è venuta con il doppio trasloco, dopo la chiusura dell’Antonianum. La “sala accademica” del collegio, da tempo immemorabile attrezzata per recite e proiezioni, era un ambiente ideale per la discussione, che iniziava già nell’intervallo tra i due tempi, al bar, e proseguiva con naturalezza in sala. In seguito, gli spazi più angusti hanno scremato gli spettatori; oggi magari restano in pochi, ma lo spirito della discussione critica, dal vero e non tramite qualche social, sopravvive. Un germe di speranza in un media che diventa strumento di socialità.