Colpevoli e vittime, la vera giustizia è nell'incontro
Per modulare il ciclo "Nati per incominciare", quattro incontri di ascolto, riflessione e dialogo sulla giustizia e sulla misericordia, il centro universitario di via Zabarella parte dal saggio Il libro dell'incontro del gesuita padre Guido Bertagna dove viene presentato il lavoro di giustizia riparativa di un gruppo composto da vittime e responsabili della lotta armata degli anni Settanta attraverso la giustizia
Imparare la misericordia. È questo uno dei verbi (accanto a implorare, operare, celebrare...) che il Centro universitario di via Zabarella ha voluto indicare come cammino di conversione nell’anno giubilare con l’iniziativa “Nati per incominciare”. «Perché – come spiega il direttore don Roberto Ravazzolo – la formazione alla misericordia va curata con strumenti e momenti specifici». Questo apprendimento, all’equipe della pastorale universitaria, è sembrato ben indicato nel saggio-esperienza Il libro dell’incontro coordinato dal gesuita padre Guido Bertagna che, dopo gli studi di arte e teologia, ha lavorato al centro culturale San Fedele e nel carcere di San Vittore a Milano e che ora abita a Padova, all’Antonianum, collaborando a itinerari di giustizia riparativa. Il volume presenta il lavoro di un gruppo composto da vittime e responsabili della lotta armata degli anni Settanta e s’ispira ai principi di una giustizia che non significa semplicemente far pagare ai responsabili le proprie colpe con anni di carcere e offrire alle vittime della violenza la soddisfazione di un’espiazione forzata.
«La giustizia riparativa – spiega padre Bertagna – è stata pensata in rapporto all’anno della misericordia per andare al di là di proposte generiche: volevamo diventasse qualcosa di più impegnativo di un pensiero di bontà, presentando l’esperienza di persone che stanno facendo, da otto anni, e compiono ancora adesso un percorso di avvicinamento a quello che è stato un nemico. La giustizia riparativa è una giustizia orizzontale, o dell’incontro. È un percorso che si fa con il libero consenso delle persone interessate cercando di rispondere in questo modo a un reato che ha ferito qualcuno, portando via vite o danneggiando l’esistenza di alcuni, e lavorando innanzitutto con le singole parti separatamente, la parte delle vittime e quelle dei colpevoli, per andare, se se ne creano le condizioni, verso l’incontro tra le parti».
È una forma di giustizia, continua padre Bertagna, di cui si è fatto esperienza finora in Sudafrica e in altre situazioni di crimini internazionali: ex Jugoslavia, Rwanda, Perù. Davanti a crimini che non si possono punire e neanche perdonare, perché talmente radicati nella storia di una nazione, bisogna cercare di ricucire il tessuto, ricostruendo l’orizzontalità dei rapporti, delle relazioni, mettendo al centro il dolore della vittima più che la sola punizione del reo. Si cerca quindi un contatto tra le parti perché solamente il volto della vittima fa percepire al reo la gravità del male che ha commesso facendo sì che quel male non abbia l’ultima parola. In questo senso la giustizia riparativa compie un percorso analogo a quello che la fede indica nella misericordia, nell’esperienza del perdono e della riconciliazione con il prossimo e con Dio. Anche questa è una giustizia che chiede la presa di coscienza delle persone, dei colpevoli e delle vittime. Quello che viene salvato sopratutto non è il bene danneggiato, che se è la vita di qualcuno in ogni caso non ritorna, ma la relazione tra le persone. Invece di essere responsabili di qualcosa si diventa responsabili verso qualcuno, e questo qualcuno ha il volto di un altro, diventa la sua storia, la vita che quel reato gli ha cambiato. La proposta del Centro universitario e dell’Antonianum non si chiude però solo nel rapporto vittima-colpevole.
«Nel gruppo di lavoro – racconta padre Bertagna – abbastanza presto abbiamo coinvolto alcuni giovani che non aveva vissuto gli anni di piombo perché non erano ancora nati o erano troppo piccoli. L’abbiamo fatto perché in quanto giovani hanno il diritto a un futuro che non sia avvelenato dal presente e dal passato. Inoltre, proprio perché non c’erano, possono ascoltare ma anche fare domande, chiedere ed è un chiedere che spinge, obbliga le parti a non chiudersi nella loro storia. C’è bisogno di altri, di trovare persone a cui consegnare il proprio dolore in modo che diventi fecondo,; non più un dolore che oguno si porta nel privato, e quindi sterile, ma un dolore dotato di forza formativa, educativa per i giovani. La presenza di terzi fa diventare utile e fecondo quel dolore che consente la presa di coscienza di altri, diventa capace di dire qualcosa sulla costruzione del futuro». «Oggi – conclude don Roberto Ravazzolo – è vitale imparare ad ascoltare, a capire e condividere le ragioni dell’altro, di qualsiasi altro. Dà una forma mentis che può essere arte spesa a livello educativo, politico, caritativo-assistenziale, su vari piani. Questa esperienza di autobiografie interiori, pur legata a un preciso contesto storico, offre una sorta di spaccato dell’animo umano perché tutti abbiamo da gestire delle tensioni nella vita quotidiana e il problema di trovare l’approccio giusto per risolvere le tensioni si presenta continuamente. Le proprie ragioni a volte sono così forti che non si è capaci di dar credito a quelle dell’altro. C’è uno schema di risoluzione dei conflitti che è utile a tutti, tanto più che viviamo in tempi che mettono a contatto, talvolta in modo brusco, persone molto diverse per cultura, mentalità, atteggiamenti, modi di fare, a maggior ragione essere capaci di entrare nel mondo dell’altro diventa fondamentale».
Il programma
Il programma iniziato con la visione del film La promesse di Luc Dardenne prende ispirazione dagli incontri di un gruppo composto da vittime e responsabili della lotta armata degli anni Settanta. L’esperienza è narrata in una pubblicazione, Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto (Il Saggiatore, pp 466, euro 22,00), a cura di Guido Bertagna, Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato. Il volume sarà presentato martedì 23 febbraio in una serata di ascolto e scambio in sala San Gaetano, a cui intervengono: Giorgio Bazzega, Guido Bertagna, Andrea Coi, Grazia Grena e Alexandra Rosati.
Martedì 1° marzo in centro universitario si terrà il primo dei due incontri pensati soprattutto per i giovani, dedicati a capire che cos’è la giustizia riparativa. Sul tema “Dire l’opposto. Introduzione alla giustizia riparativa e alla mediazione” intervengono il filosofo, esperto di mediazione e formazione di mediatori Leonardo Lenzi e padre Guido Bertagna. L’8 marzo il cammino prosegue all’auditorium del centro Antonianum con un incontro intitolato “Tracciare una linea sottile tra l’amnesia e il debito infinito” in cui pagine scelte di Paul Ricoeur e Emmanuel Levinas, autori che hanno aperto strade magnifiche sul riconoscimento e la scoperta dell’altro, il senso della memoria, la costruzione delle relazioni sulla memoria ferita saranno commentate dai gesuiti dell’Antonianum Infine, il 12 aprile la serata conclusiva al centro universitario s’intitola “In dialogo con i testimoni: confronto sulle riflessioni e sul lavoro dei giovani a partire da Il libro dell’incontro” e prevede il ritorno dei protagonisti dell’incontro del 23 febbraio per recepire il frutto del lavoro dei giovani e instaurare un dialogo con loro.