22 febbraio. La Chiesa di Padova celebra i cent’anni di don Antonio Pedron

Don Pedron «Non mi pare vero di essere arrivato a questa età. Sono stato felice della mia vita. E felice di essere prete! Quarant’anni padre spirituale in Seminario e trenta come penitenziere»

22 febbraio. La Chiesa di Padova celebra i cent’anni di don Antonio Pedron

Cent’anni. Li compie sabato 22 febbraio don Antonio Pedron. Fino a settembre scorso si è recato in Cattedrale, mattina e pomeriggio, per le confessioni. «Ora sono immobilizzato dalla mia cecità – racconta – anche se qui in Casa del clero mi muovo senza problemi. Non ho attività particolari da fare, se non quella di pregare. E di incontrare qualcuno che viene a confessarsi». Non gli sembra vero – dice – di essere arrivato a cent’anni. «Di prete sono 78! Sono stato ordinato il 20 settembre 1947 nella mia parrocchia, Creola. Con me c’era Alfredo Battisti. Poi sono stato quarant’anni padre spirituale in Seminario, tra Maggiore e Minore, e trenta penitenziere». Secondo di 15 fratelli, ha desiderato fin da ragazzo di diventare prete. «Vedevo che il cappellano di Mestrino, dove facevo il chierichetto, era felice di esserlo e lo desideravo tanto anch’io. Così, finite le elementari, ho cominciato a frequentare il ginnasio da esterno (ci andavo ogni giorno in bicicletta, da Creola) in Seminario Maggiore. Poi il liceo e la teologia. Nel 1947 siamo stati ordinati in 31». Quando il vescovo gli ha proposto di diventare padre spirituale in Seminario – era il 1954 – don Antonio ha risposto: «Prete sì, padre spirituale no. Non ne sono capace». Poi si è “buttato”, dedicandosi completamente ad accompagnare i giovani nel discernimento vocazionale. Negli anni del Concilio Vaticano II, don Antonio guardava con passione al cammino che la Chiesa stava compiendo. «Poi, verso la fine degli anni Settanta, ho cominciato a cogliere del disagio. In generale, ma anche in Seminario, tanto che ho chiesto di lasciare l’incarico di padre spirituale». Me lo dice più volte, don Antonio: «Ho sempre voluto fare il prete. Un prete che cammina con la Chiesa, non che va per i fatti suoi. Una Chiesa magari fragile, ma che è la strada da seguire. Anche adesso è fragile. E questo, secondo me, spiega l’abbandono di tanti preti». Degli anni in cui è stato penitenziere in Cattedrale – fino all’estate 2024 – ha un bel ricordo. «Negli ultimi tempi facevo fatica, ma non mi sono mai sentito un eroe. È stata una gioia mettersi in gioco come chi aiuta. Sono sempre stato contento di incontrare chi desiderava confessarsi per ripartire. Ho tanto ascoltato, in Seminario e in confessionale. È stata una gioia continua. Faticosa, certo, ma una grande gioia». Ai suoi confratelli, giovani e meno giovani, don Antonio vuole dire questo: «Se nel tuo ministero c’è un “ma”, prega. Le incertezze ci sono sempre... Io sono stato felice di essere prete. Se tornassi indietro, lo rifarei. Prete vuol dire spendere la propria vita per gli altri per amore di Dio, insegnando a vivere secondo la sua volontà. Cosa c’è di più bello di questo?».

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