La parola ai preti novelli: don Alessio Rossetto e il il suo "debito" alla chiesa di Padova
Una fede nata, cresciuta e maturata a San Bartolomeo, a Monselice, nella chiesa diocesana. Una chiesa matura per la sua dimensione missionaria, sottolinea, don Alessio, a cui ora è venuto il momento di restituire, almeno in parte, il tanto bene ricevuto in parrocchia, nell'Ac e in seminario.
Alessio Rossetto (21 agosto 1980) è originario della parrocchia di San Bartolomeo apostolo in Monselice. Primo di due figli, ha frequentato scuola superiore Kennedy di Monselice, diplomandosi nel 1999 come perito commerciale e programmatore. Dal 2000 al 2010 ha lavorato in una azienda internazionale della Bassa padovana, prima come programmatore poi come supporto all’area marketing. Nell’ottobre del 2010 entra nella comunità vocazionale di Casa sant’Andrea, per poi iniziare il primo anno del seminario maggiore nel 2011. Durante la formazione in seminario ha prestato servizio presso le comunità di Tribano e del Redentore di Monselice e presso la casa di reclusione Due Palazzi. Quest’anno ha svolto il proprio ministero diaconale presso il seminario minore di Rubano come educatore e nella comunità del Redentore.
La domanda
Con l’ordinazione entrerai a far parte del presbiterio padovano. Quali particolarità della nostra chiesa che è in Padova ti affascinano maggiormente?
La mia fede nasce e cresce proprio in questa chiesa che in Padova. È proprio questa chiesa che mi ha battezzato attraverso la mia comunità di origine. È sempre questa chiesa, attraverso i suoi catechisti e i suoi presbiteri, che ha formato una immagine di Dio sempre più vera dentro di me. Ed è di nuovo la chiesa che è in Padova che mi ha accompagnato e mi ha dato fiducia nel mondo dell’Azione cattolica, anche a livello diocesano. Per non parlare poi delle energie e attenzioni che il seminario maggiore diocesano mi ha dedicato in questi ultimi sei anni.
Si può capire bene che mi sento in debito con questa chiesa. E mi sento ancora più in debito per la storia che ha la mia chiesa. Una storia veramente bella, fatta di santi conosciuti e riconosciuti, ma fatta soprattutto da uomini e donne di buona volontà sconosciuti. Una storia che ha conservato e ci ha consegnato la fede in Gesù Cristo risorto attraverso periodi difficili, una storia che ha mostrato come la nostra chiesa è riuscita, e riuscirà ancora, a donare risposte concrete a domande e situazioni complesse.
Oltre la sua storia santa c’è un’altra particolarità che mi affascina della nostra chiesa locale: la carità verso le persone che abitano le periferie esistenziali della vita. In questi anni ho conosciuto tantissimi laici, diaconi, preti, consacrati e consacrate che hanno deciso di impegnare tempo ed energie considerevoli della loro vita per coloro che vivono la povertà in tutte le sue forme. L’ultima cosa che mi affascina e che, secondo me, dimostra tutta la maturità della chiesa che è in Padova è l’aspetto missionario.
Non siamo una chiesa che si chiude in se stessa ma che sa guardare ben oltre i suoi confini diocesani, è una Chiesa che sa prendersi cura di altre situazioni, che sa far nascere e crescere fede addirittura in altri continenti.