Fondazione Zancan: il ricordo di mons. Nervo e mons. Pasini e il nuovo rapporto sulla povertà
La mattina alle 11 in Cattedrale il vescovo Claudio presiede la messa di suffragio per i due fondatori di Caritas italiana. Alle 14.15 in sala Barbarigo del museo diocesano comincia il convegno “Generatività, carità e giustizia: verso nuovi scenari di welfare” con la presentazione del rapporto 2017 sulla povertà in Italia Poveri così non sia.
Anche quest’anno la fondazione Emanuela Zancan, il primo giorno di primavera, ricorda con un doppio appuntamento don Giovanni Nervo e don Giuseppe Benvegnù Pasini, rispettivamente a distanza di quattro e due anni dalla loro scomparsa.
La mattina di martedì 21 marzo, alle 11 in Cattedrale, il vescovo Claudio presiede la messa, mentre dalle 14.15 alle 17.30, nella sala San Gregorio Barbarigo del museo diocesano in piazza Duomo, si svolge il convegno “Generatività, carità e giustizia: verso nuovi scenari di welfare”. L’incontro del pomeriggio dà modo di presentare l’incoraggiante lavoro di alcune tesi di laurea che hanno approfondito il tema del welfare generativo. Il convegno è, comunque, la cornice perfetta per la presentazione del nuovo rapporto sulla povertà Poveri e così non sia che si prefigge di ripensare la programmazione sociale e di individuare le risorse e le azioni per lottare contro la povertà in Italia.
«Don Giovanni e don Giuseppe – è il pensiero del direttore della Zancan, Tiziano Vecchiato – per noi sono persone vive e questa giornata, che sta diventando ormai tradizione, offre l’opportunità, proprio il primo giorno di primavera, per continuare a inseguire le “gemme del cambiamento sociale”, di spiegare quello che non abbiamo capito prima dalle loro grandi lezioni sull’esercizio della carità».
Ad aprire il convegno è Gilberto Muraro, consigliere della fondazione Cariparo, con il compito di sintetizzare i «fondamentali» – come li definisce Vecchiato – contenuti in Teoria e pratica della pianificazione sociale, scritto nel 1974 per la Zancan da Alfred Kahn e «di un’attualità sconvolgente». Il testo venne presentato dall’autore durante un seminario sociale della Zancan nella sua sede di Malosco a Trento a cui partecipò anche Gilberto Muraro, all’epoca giovane docente di scienza delle finanze all’università di Padova.
L’intervento successivo del direttore della Zancan verte sulla presentazione di Poveri così non sia il cui titolo può contenere una duplice lettura: «Dopo la “quadrilogia” sul welfare generativo e la cittadinanza generativa, la nuova indagine mette in discussione l’approccio tradizionale, cioè il semplice trasferimento economico da parte dello stato, che rischia di “mantenere” il povero, senza speranza e senza rigenerazione delle risorse investite. L’idea guida che sta alla base è dunque: ce la faremo con gli strumenti tradizionali che si basano sulla programmazione? Purtroppo la risposta che ci siamo dati è negativa, perché non abbiamo esempi recenti che dimostrino che funzioni. I benefici del trasferimento della spesa sociale sono unicamente in chi produce i progetti, con scarsi risultati però su chi è in difficoltà».
Il problema da estirpare alla radice è lo scarso coinvolgimento della persona assistita, che non è protagonista del proprio cambiamento e che non attiva così le proprie risorse interiori per uscire dalla condizione di povertà. A tal proposito vanno profondamente riviste le professionalità.
L’altra pista da seguire è la ricerca di risorse che non ci sono: ma allora perché non mettere a rendimento quelle che abbiamo? E come?Attraverso un diverso esercizio del diritto. È questa la rivoluzione che, secondo la fondazione Zancan, dovrebbe innescarsi nel nostro paese per far fronte alla povertà e per diminuirla significativamente, passando dal mero trasferimento di risorse pubbliche al rendimento dei fondi investiti.
Un esempio calzante viene dalla simulazione effettuata dalla stessa Zancan qualche anno fa sugli assegni familiari: «Il maggior rendimento può essere ottenuto – spiega sempre Tiziano Vecchiato – con una diversa gestione di una quota degli assegni familiari destinata a facilitare l’accesso ai servizi 0-3. Nella simulazione abbiamo considerato la possibilità di utilizzare circa un quarto dell’ammontare complessivo degli assegni (un miliardo e mezzo) per gestire 200 mila nuovi posti nido, dando lavoro a circa 40 mila donne, con l’effetto sistemico di calmierare anche i costi d’accesso per l’offerta attuale».
La tesi della Zancan si basa non sulla negazione dei diritti acquisiti, ma su un esercizio più solidale del diritto da parte di chi non ha effettivo bisogno di poche decine di euro di assegno familiare, perché già il reddito personale garantisce alla propria famiglia una buona qualità della vita. Ritornando alla simulazione sugli assegni familiari, significherebbe mettere a rendimento un quarto del valore in un “fondo prima infanzia” solidale.
«La riduzione della povertà riguarderebbe – continua Vecchiato – le madri interessate a nuova occupazione, con reddito per loro e le rispettive famiglie. Si ridurrebbe anche il debito differito necessario per integrare le loro pensioni di ex disoccupate. A seguito infatti degli elevati tassi di disoccupazione dei giovani (oggi intorno al 40 per cento) molti comuni dovranno assisterli quando saranno pensionati poveri».
E c’è di più: i 200 mila bambini inclusi nei nuovi servizi ricavati dalla gestione a rendimento del fondo non sarebbero più poveri alimentari, cognitivi e relazionali perché le crescenti esigenze troverebbero risposta. Sono tanti gli interrogativi suscitati da questa nuova, dirompente visione della spesa sociale. Il primo, forse il più impellente, è su chi stia dando credito a queste tesi fondate sullo studio e la concretezza dei dati forniti dalla Zancan.
«Purtroppo ai tavoli istituzionali – conclude Vecchiato – si fatica moltissimo a trovare orecchie pronte a recepire il cambiamento. Lo stato dovrebbe osare e credere in un piano decennale, sottraendo l’opera ai risultati immediati imposti dalla politica, ma sentendola come un profondo cambiamento sociale di cui l’Italia ha assoluto bisogno. Ma gli unici, al momento, in grado di cogliere l’innovazione umana e sociale sono le fondazioni, che già ragionano in termini di resa dei capitali, e i giovani. Negli ultimi anni sono stati oltre una ventina i lavori accademici a livello nazionale di approfondimento sul welfare generativo. Sui giovani riponiamo la stessa fiducia di don Giovanni e don Giuseppe, che in loro hanno sempre creduto».