"Apertura, dialogo, conoscenza. Così si costruisce l'unità dei cristiani"
Cosa significa oggi ecumenismo? «Prima di tutto - sottolinea il delegato diocesano don Giovanni Brusegan - significa crescere dentro di noi, rinverdendo una coscienza cristiana e un’appartenenza cattolica rinnovata, non restaurata ma ricreata, con apertura, dialogo e conoscenza». Con questo spirito la diocesi si appresta a vivere la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, segnata da un denso calendario di appuntamenti.
“L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione”: così san Paolo ci ricorda nel cuore della sua Seconda lettera ai Corinzi (5,14-20).
Queste parole, scelte come tema dell’edizione 2017 della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, «ci aiutano a ripensare il nostro modo di essere cristiani, rinnovando il primato dell’amore di Cristo, della sua misericordia, dell’onnipotenza della sua grazia rispetto sia ai nostri sforzi ma anche rispetto ai nostri peccati». È ripartendo da Cristo, insomma, che si fa l’unità.
Don Giovanni Brusegan, delegato diocesano per la pastorale dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, sottolinea come l’esperienza cristiana si riscopra in fondo più povera senza un autentico percorso di dialogo.
Don Brusegan, cos’è davvero quella riconciliazione di cui parla San Paolo?
«La riconciliazione è prima di tutto un fatto di grazia, che autentica e ci fa cogliere la verità del nostro vissuto: non siamo uniti né fra cristiani né con l’umanità e con le altre fedi, incapaci di creare quella “convivialità delle differenze”, come la chiamava don Tonino Bello, la sola legittima che risponde al dialogo trinitario».
Insomma, prima della riconciliazione – o meglio, dentro la riconciliazione – la verità?
«Esatto. La prima grazia che dobbiamo chiedere è quella di capire che siamo divisi e soffrire per questa divisione senza accettarla o subirla passivamente. Ci sono peccati strutturali, istituzionali che vanno riconosciuti con l’intento di rinnovarci in un processo di conversione permanente. La seconda grazia è comprendere che l’altro è parte di noi, come noi siamo parte dell’altro.
Il Regno di Dio è una policromia di colori che non è prerogativa dei cattolici, dei protestanti, degli ortodossi o degli anglicani, ma che è piuttosto composta da tutte le esperienze di fede in sintonia con l’annuncio cristiano. San Giovanni Paolo II ribadiva quanto fosse importante respirare a due polmoni, recuperando il polmone ortodosso: la chiesa cattolica non è solo romana, ma è cattolica quando abbraccia l’universalità delle esperienze cristiane».
La terza grazia per cui pregare?
«È quella di stare dentro le divisioni per poterci porre come ponti e non come muri, per reagire positivamente in un mondo in cui si stanno rafforzando le forme di idolatria e i fondamentalismi».
La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, a 500 anni dalla Riforma di Lutero, permette di rileggere le divisioni cercando nelle motivazioni iniziali nuove ragioni per la comunione…
«Prima i pregiudizi ci impedivano di cogliere nell’altro quel valore o quella verità parziale che lo aveva reso “altro”, allontanandolo da noi. Oggi però, grazie ai progressi della teologia e della scienza biblica sono stati rivisitati i luoghi comuni che avevano cristallizzato la memoria nelle divisioni. E così, da “eretici” e “scismatici”, ora ci riconosciamo fratelli non in perfetta comunione. Questo ci ha permesso di crescere nella fraternità. Oggi ci troviamo a celebrare per la prima volta la Riforma in chiave ecumenica, cioè da fratelli, cogliendo di Lutero le istanze legittime e i limiti, accorgendoci che all’epoca eravamo molto più vicini di quello che le distanze culturali, la sete di potere e i fraintendimenti teologici e filosofici hanno drammaticamente reso divisorio».
Più che con tante parole, questa vicinanza di cui parla si manifesta nelle immagini della recente visita di papa Francesco in Svezia.
«Anche nell’Evangelii Gaudium il papa parla dell’ecumenismo non solo come confronto per superare le divisioni interconfessionali, ma molto di più come esigenza della chiesa e dei cristiani per diventare uomini di comunione e di fraternità. Il titolo del documento scritto insieme da cattolici e luterani, “Dal conflitto alla comunione”, dovrebbe diventare la prospettiva che ispira tutte le relazioni quotidiane nella parrocchia, al bar, in famiglia. L’ecumenismo deve essere uno stile di vita che nasce dal basso. È un no a tutto ciò che divide per dar vita a rapporti veri che possano essere premesse di un nuovo modo di stare al mondo».».
E a Padova, che significa ecumenismo?
«Prima di tutto significa crescere dentro di noi, rinverdendo una coscienza cristiana e un’appartenenza cattolica rinnovata, non restaurata ma ricreata, con apertura, dialogo e conoscenza».
Non siamo più da soli.
«Sì, ormai non siamo più soli, ci sono altre etnie, altre religioni. Cerchiamo di vivere né da sottomessi né da padroni, nell’impegno per una società che valorizzi il nuovo, il diverso, nel rispetto della tradizione che non va svenduta, ma va affermata in un processo evolutivo di ascolto, di conoscenza e di incontro. La sfida non è solo per noi cristiani, ma per tutti i credenti, per ogni uomo, perché le religioni non abbiano a diventare motivo di violenza e di paure, ma di servizio alla causa della pace e del benessere di una società complessa e affaticata ».
A Padova il laboratorio di dialogo e di riconciliazione è aperto da decenni con ortodossi, protestanti ed ebrei. A che punto siamo?
«Per quanto riguarda gli ortodossi, c’è la presenza dei greci, dei romeni e dei moldavi: alcuni si riconoscono nel patriarcato di Bucarest, la maggior parte in quella di Mosca. Ci sono loro nuovi luoghi di culto, segno di una presenza in crescita. È buona anche la collaborazione con i protestanti: da trent’anni, presso la chiesa evangelica, esiste un gruppo interconfessionale di studio biblico per affrontare insieme una Parola che ci unisce e ci trova distinti. Con gli ebrei, infine, c’è un bellissimo rapporto che dura da più di trent’anni con il gruppo di conoscenza reciproca: è una gara per aiutarci a essere, ciascuno nel suo contesto, fedeli alla propria Alleanza».