"Noi sindaci, in prima linea nel disastro e nella ricostruzione". Con pazienza e solidarietà
Terra a rischio, il Veneto. Perché solcata da acque, una ricchezza, ma talora anche un pericolo; perché esposta a turbolenze, a volte dovute all’inclemenza atmosferica, agli eventi naturali, ma spesso all’incuria e all’improvvidenza umana. Il dato certo, al di là delle cause, è che comunque si è sempre costretti a ricominciare, a ricostruire, a ripartire.
Sulla Difesa di domenica 27 novembre, storie, dati, analisi. E il racconto dei sindaci che hanno vissuto in prima linea la tragedia delle loro comunità: da Codevigo nel 1966 a Ponte San Nicolò nel 2010 fino a Dolo e alla Riviera del Brenta funestati dal tremendo tornado di un anno fa.
Terra a rischio, il Veneto.
Perché solcata da acque, una ricchezza, ma talora anche un pericolo; perché esposta a turbolenze, a volte dovute all’inclemenza atmosferica, agli eventi naturali, ma spesso all’incuria e all’improvvidenza umana. Il dato certo, al di là delle cause, è che comunque si è sempre costretti a ricominciare, a ricostruire, a ripartire.
Cesare Baretta è uno dei cittadini di Codevigo che, al tempo della grande alluvione del 1966, sedeva in consiglio comunale.
«La ricostruzione è stata abbastanza veloce. Sostanzialmente abbiamo cercato di sfruttare al massimo le normative nazionali che favorivano le aree depresse e danneggiate; su questo versante non sono mancati i sostegni e i contributi. Poi vi è stato l’immenso lavoro svolto dai vari comitati locali, che si sono affiancati a coloro che erano stati colpiti dalla calamità. In particolare la nostra attenzione si è subito rivolta ai lavoratori del mondo agricolo, in collaborazione con le associazioni di categoria».
Enrico Rinuncini, primo cittadino di Ponte San Nicolò al tempo dell’invasione delle acque del 2010, non ha dubbi.
«L’alluvione è stata un’esperienza negativa, ma ho sempre detto che dal fango e dall’acqua si è risorti. La comunità ha collaborato con l’amministrazione senza nessuna polemica, con una continua comunicazione, che ha consentito di fare squadra».
«Sin da subito, nel post-alluvione – continua il sindaco di Ponte San Nicolò – la comunità ha sentito la vicinanza e la solidarietà di tutti: abbiamo aperto un conto corrente e raccolto 100 mila euro, dalle aziende a semplici privati, pensionati che hanno donato il loro risparmio. A sei anni di distanza posso dire che l’obiettivo è ancora quello di non dimenticare. Abbiamo calcolato 140 famiglie e 30 aziende danneggiate, per un totale di 9 milioni di euro di danni, assieme alle opere pubbliche. C'è stata grande collaborazione anche con i sindaci delle città limitrofe. Prezioso l’aiuto umano della parrocchia di Roncajette e del suo parroco, don Pierpaolo Peron, che hanno fatto da collante e da punto di riferimento per una comunità disorientata. Comunque sono serviti tre anni per recuperare la vita quotidiana; i danni hanno avuto ripercussioni anche dopo, a lungo».
Elisa Venturini, allora sindaco di Casalserugo, cerca di tirare un bilancio di quei tragici eventi.
«Abbiamo capito che occorre un gioco di squadra per affrontare queste situazioni drammatiche, perché da soli non se ne viene fuori. A esempio, abbiamo ricevuto aiuti anche da comuni lontani come Breda di Piave che, a sua volta, aveva vissuto l’alluvione nel ’60, luoghi diversi che hanno messo a disposizione la loro esperienza. Questo dà un senso alle disgrazie, che devono insegnare, perché altrimenti lasciano solo sofferenza. Il nostro è un paese dal grande cuore però disorganizzato».
«Sin dai primi giorni dell’emergenza, tante persone sono venute a fare volontariato; sono arrivati i vigili del fuoco e i gruppi della protezione civile perché è stata una calamità che non poteva essere gestita solo a livello comunale, ma regionale e nazionale; così è stato. Per due anni questo comune è stato bloccato solo pensando all’alluvione e le tredici persone che operano all’interno del municipio hanno lavorato giorno e notte per soddisfare tutte le richieste. Il bilancio è di circa 14 milioni di euro di danni tra opere pubbliche e tutto il “pacchetto alluvione”: abbiamo avuto quasi mille pratiche di riconoscimento danno tra privati e attività produttive».
Era sindaco da poco più di un mese Alberto Polo, primo cittadino di Dolo, quando il tornado si è abbattuto sul suo comune nel luglio 2015.
Stava tornando da Camponogara, quando ha ricevuto la chiamata del comandante dei vigili del fuoco di Venezia; della dimensione del disastro si è reso conto solo verso le 21.30 di quel mercoledì, mentre metteva in campo le prime decisioni tra cui un sistema antisciacallaggio.
«Immaginavo esistesse un piano con un protocollo preciso da seguire: niente di tutto questo. Nessuna indicazione, decisioni da improvvisare anche per l'organizzazione degli uffici, dove spesso a guidarti è il buon senso. Il sistema di protezione civile, la prefettura, i vigili del fuoco hanno dei protocolli per la gestione dell'emergenza e la messa in sicurezza; ma il dopo non è codificato».
«Per questo il mio comune ha lavorato in questi mesi anche a livello nazionale per costruire un percorso che possa dare risposte più immediate ai cittadini e a quanto vedo qualcosa ha funzionato per i recenti terremoti in Centro Italia. Mi rammarico di non essere riuscito a far capire ai miei cittadini che mi chiedevano "Come faremo ad affrontare l'inverno?" che ci voleva pazienza. Dei fondi stanziati dal governo, in agosto, a Dolo ne arriveranno pochi. Sono solo 52 le domande presentate, gli altri hanno fatto i lavori in economia, usando materiali di recupero: spese difficili da documentare. Lo stanziamento dallo stato, soldi veri, è arrivato però a tempo di record: 12 mesi».
Massimo Calzavara, sindaco di Pianiga, era in studio il pomeriggio dell'8 luglio.
Chiamato per caso a Cazzago, la frazione colpita nel suo comune, si è subito reso conto di quanto era accaduto. «Ci siamo trovati nell'apocalisse e siamo riusciti a uscirne grazie al supporto della protezione civile, della regione e dei vigili del fuoco. Se mi ricapitasse adesso saprei come muovermi, quali enti e procedure attivare. Direi ai miei cittadini di documentare tutto, di avere pazienza, tanta pazienza. Ho imparato a non fidarmi di nessuno: i sindaci sono soli di fronte a un simile evento ma i cittadini, che sentono lo stato lontano, cercano proprio noi come riferimento. La difficoltà principale è la mancanza di una procedura standard a livello statale; si rischia di raccogliere documentazione che non va bene. Siamo andati avanti con un valzer di notizie sui risarcimenti che dicevano tutto e il contrario di tutto. Unica certezza iniziale i 5 milioni e mezzo di euro stanziati dalla regione. Dallo stato i soldi sono arrivati dopo un anno, ma i cittadini avevano già sistemato tutto e non riusciranno a ottenere i risarcimenti».