1.400 ettari consumati in tre anni. Ci stiamo mangiando il Veneto
Nonostante la crisi, ogni secondo spariscono 4 metri quadrati. Il Veneto è la regione più cementificata dopo la Lombardia, e Padova il comune più edificato. La cementificazione del territorio veneto è impressionante: in soli 3 anni sono spariti 1.400 ettari. Spesso terreni di ottima qualità, aggravando i rischi legati al dissesto idrogeologico. Alla faccia delle promesse dopo ogni alluvione...
Quattro metri quadrati al secondo.
È questa la velocità con cui consumiamo il suolo in Italia. In tre anni, tra il 2013 e il 2015, sono stati “coperti” 250 chilometri quadrati, il che significa circa 35 ettari al giorno, con una velocità di trasformazione di circa 4 metri quadrati di suolo ogni secondo.
Una velocità dimezzata rispetto al picco degli 8 metri quadrati degli anni 2000, ma «che continua comunque a coprire, ininterrottamente, aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, servizi e strade, a causa di nuove infrastrutture, di insediamenti commerciali, produttivi e di servizio e dell’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità», come si legge nel terzo rapporto sul consumo di suolo che è stato pubblicato dall’Istituto superiore per la ricerca ambientale (Ispra) nel luglio scorso.
Il consumo di suolo costa al Veneto oltre 137 milioni di euro all’anno.
Secondo l’Ispra i “costi occulti”, quelli non immediatamente percepiti, della cementificazione sono di oltre 27 milioni di euro all’anno a Venezia, e ben 52 milioni a Treviso.
In Veneto negli ultimi tre anni, dal 2012 al 2015, sono stati consumati circa 1.400 ettari, con un incremento dello 0,6 per cento e raggiungendo quindi complessivamente il 12,2 per cento di superficie contro un valore medio nazionale del 7,6. Così la nostra è la seconda regione italiana più costruita, superata solo dalla Lombardia che ha raggiunto il 12,8 per cento di superficie cementificata.
E in Veneto è Padova il comune che ha la percentuale maggiore di consumo di suolo, con il 49 per cento di superficie costruita, pari a 46 kmq, e un incremento dello 0,5 per cento nel triennio 2012-15; un primato colto anche dalla provincia, dove il consumo di suolo interessa il 18,8 per cento del territorio, vale a dire 403 kmq con un incremento dello 0,4 per cento dal 2012 al 2015.
L’analisi dell’Ispra sottolinea anche il fatto che in Veneto quello del consumo è un problema che non riguarda solo la quantità, ma anche la qualità.
Viene consumato terreno con buone – anche ottime – capacità produttive e, inoltre, la cementificazione impermeabilizza terreni in grado di assorbire la gran parte delle precipitazioni, con gravi conseguenze per la tenuta idrogeologica del territorio e, elemento non trascurabile, una diminuzione della riserva d’acqua di 2,4 milioni di metri cubi nel triennio considerato.
Si costruisce anche dove la popolazione non cresce
Sempre nel triennio 2012-15, l’Italia si è divisa nettamente in due: il consumo avvenuto nel 51 per cento dei comuni italiani coincide con l’incremento della popolazione, mentre l’altra metà (49 per cento) ha consumato “a perdere”,
ovvero nonostante la popolazione non crescesse.
I piccoli comuni con meno di 5.000 abitanti sono i più inefficienti, avendo i valori più alti di consumo marginale di suolo: per ogni nuovo abitante divorano mediamente tra i 500 e i 700 metri quadri di suolo contro i 100 dei comuni con più di 50.000 abitanti.
Altissimo il costo di queste scelte.
«Sfiora il miliardo di euro (oltre 800 milioni) il prezzo massimo annuale che gli italiani potrebbero pagare dal 2016 in poi per fronteggiare le conseguenze del consumo di suolo degli ultimi 3 anni (2012-15) – scrive l’Ispra – I costi occulti prevedono una spesa media che può arrivare anche a 55 mila euro all’anno per ogni ettaro di terreno consumato e cambiano a seconda del servizio ecosistemico che il suolo non può più fornire per via della trasformazione subita: si va dalla produzione agricola (oltre 400 milioni di euro), allo stoccaggio del carbonio (circa 150 milioni), dalla protezione dell’erosione (oltre 120 milioni) ai danni provocati dalla mancata infiltrazione dell’acqua (quasi 100 milioni) e dall’assenza di impollinatori (quasi 3 milioni). Solo per la regolazione del microclima urbano è stato stimato un costo che si aggira intorno ai 10 milioni all’anno».
Il continuo aumento di superfici impermeabilizzate, infatti, provoca anche un incremento delle temperature superficiali grazie al calore accumulato durante il giorno, rendendo le nostre notti estive sempre più critiche.