Codevigo 1966: quel trattore che pompava acqua e speranza
C’è un testimone attendibile, perché presente sul luogo, che racconta quello che accadde nella zona di Codevigo in quei terribili giorni di inizio novembre del 1966. È don Giuseppe Salbergo, parroco di Conche, che nella sua cronistoria narra gli eventi con puntigliosa drammaticità, dalle prime avvisaglie nella giornata del 3 ai momenti concitati della rotta e alla devastazione dei giorni successivi.
Nel pomeriggio del 9 novembre, «su un galleggiante dei vigili del fuoco, arriva il vescovo Girolamo Bortignon. È tutto sporco di fango, in asilo rivolge parole di incoraggiamento al parroco, alle suore e a un gruppo di persone». Nel bilancio di quei giorni terribili si contano 800 sfollati, 70 capi di bestiame perduti, il 90 per cento delle strade intransitabili, 732 milioni di lire di danni, nessuna vittima ma una desolazione infinita. Eppure, proprio in quei momenti, ci fu chi trovò la forza di cambiare, in meglio, la propria vita. Come Gianpietro e Giorgio Trovò.
Al tempo Gianpietro aveva venticinque anni
Da sempre abitava in via dell’Idrovara a Santa Margherita, frazione di Codevigo; viveva coltivando una quarantina di campi in affitto; fatica quotidiana, dura, che condivideva con il fratello Giorgio.
Da qualche anno i Trovò avevano allargato il loro raggio di attività; sempre gente di campagna, ma con una macchina a disposizione, un trattore, e facevano i terzisti, lavorando la terra anche per gli altri. Niente di particolare, certamente non un’iniziativa che potesse regalare ricchezza; comunque abbastanza per tirare avanti.
Dei giorni terribili di inizio novembre 1966, Gianpietro ricorda quello «scirocco che rendeva il clima umido, con una pioggia insistente, che non dava tregua».
Niente di buono, al punto che la gente di Santa Margherita cominciò a pensare che fosse meglio cercare un’alternativa, soprattutto per il raccolto e le bestie. La paura era il Brenta, l’argine destro del fiume; la sera del 4 prese a suonare la campana, dopo poco arrivò l’acqua, cogliendo però di sorpresa in particolare quelli che stavano sulla sinistra del corso d’acqua.
I Trovò riuscirono a mettere in salvo gli animali, raccattarono quello che potevano, in emergenza, in sofferenza; nonostante questo ebbero la prontezza e la lungimiranza di intravvedere e pensare che quella catastrofe poteva anche trasformarsi in un’opportunità, in un’occasione di rilancio, di ricostruzione e addirittura di crescita.
La svolta nella vita di Gianpietro e Giorgio venne proprio nei giorni dell’acqua ovunque.
I fratelli decisero di investire e acquistarono un trattore, un 615 om. Dove trovarono i quattrini? «Li cercammo – spiega sorridendo Gianpietro – non ricordo neppure dove. Di certo ci indebitammo per fare questo passo, domandammo un prestito, firmammo, ci facemmo aiutare…».
Con il nuovo trattore i fratelli cominciarono a dare una mano ai molti che si trovavano immersi nelle acque; puntarono subito sulla zona più in difficoltà, quella di Conche. Il trattore consentiva di azionare un bene prezioso, come la pompa in grado di prosciugare terreni e abitazioni. «Per giorni abbiamo lavorato a tempo pieno, praticamente senza sosta, dormendo solo il necessario per non svenire. Una fatica immane, ma sapevamo che avevamo un’opportunità anche per noi stessi, oltre ad aiutare i molti compaesani in difficoltà».
Terminato l’impegno dalle loro parti, i Trovò non si sono fermati e sono emigrati verso Comacchio, a Isola Camerini, dove c’era ancora bisogno della loro opera.
È stato solo l’inizio; perché da allora, dai giorni disgraziati dell’alluvione, i fratelli hanno capito che, mettendo insieme il lavoro e le macchine, potevano costruirsi un futuro diverso e magari perfino una fortuna. Così, la famiglia di Santa Margherita, pur continuando anche a lavorare la terra, ha cominciato a mettere sempre più in moto le macchine e un po’ alla volta ha costruito un’azienda, oggi floridissima, che si occupa appunto di movimentazione terra.
«Un po’ alla volta – aggiunge Gianpietro – abbiamo abbandonato il lavoro come terzisti, limitando l’impegno di contadini ai nostri campi; ci siamo concentrati nell’attività con le macchine. A fatica, con un impegno che ci assorbiva ore e giorni di tutto l’anno, abbiamo cominciato a incrementare il parco in dotazione. La svolta è arrivata negli anni Settanta, quando siamo riusciti a ottenere la manutenzione dello zuccherificio di Pontelongo. Centrare questo obiettivo non è stato facile: bisognava pulire i forni carbone, e nessuno si sentiva di farlo; abbiamo ottenuto l’incarico; un lavoro durissimo, ma che ci ha aperto il futuro».
Il fatto singolare, peraltro del tutto comprensibile, è che i Trovò continuano a rimanere gente profondamente legata alla terra
Dai quaranta campi in affitto, patrimonio precario e iniziale, attualmente la famiglia può contare su 500 ettari di proprietà, sparsi in tre province; 1.500 campi, un patrimonio per nulla irrilevante.
«Certamente l’acquisto di quel trattore nei giorni dell’alluvione – conclude Gianpietro – è stato il fatto che ha cambiato la nostra vita. Va anche detto che quello che abbiamo realizzato lo abbiamo fatto da soli, senza nessun aiuto pubblico, anzi con qualche ostacolo. Abbiamo sempre lavorato molto e ci è andata bene, nonostante la pioggia e quei giorni terribili».
I tragici giorni del novembre 1966
C’è un testimone attendibile, perché presente sul luogo, che racconta quello che accadde nella zona di Codevigo in quei terribili giorni di inizio novembre del 1966. È don Giuseppe Salbergo, parroco di Conche, che nella sua cronistoria narra gli eventi con puntigliosa drammaticità.
Tutto cominciò il giorno 4, quando «una marea, che ha raggiunto valori fino ad ora mai verificatesi (1,85 metri sul livello del mare), accompagnata da forti raffiche di vento di scirocco, portava una grave minaccia a tutto il territorio a causa delle continue tracimazioni sull’argine di conterminazione lagunare. La minaccia più grave si profilava nel primo bacino e precisamente sull’argine sinistro del canale di scarico del Novissimo, dove vi erano abbondanti tracimazioni e numerosi fontanazzi che minacciavano la stabilità di vari tratti di arginatura. (…) Verso le 17 la violenza del vento di scirocco diminuiva e conseguentemente si attenuava la quota di marea per cui la situazione di pericolo per l’intero comprensorio del Delta Brenta accennava a diminuire e con il funzionamento delle idrovore le condizioni dell’acqua nei tre bacini consorziali tornava lentamente verso la normalità».
«Nel frattempo – racconta il parroco – l’acqua del Brenta cresceva paurosamente. Verso le 21.30 un uomo venne a dirmi che era scoppiato il metanodotto e che l’acqua già entrava verso la campagna in corrispondenza del cimitero di Conche. Si corre sul posto; l’acqua del fiume raggiunge in certi punti l’asfalto laterale, il gas, facendo scoppiare la condotta, ha fatto saltare l’argine e l’acqua minacciosa, per un varco di circa 2 metri, si riversa nel sottostante terreno e invade la zona. (…) Ore 22.30 la breccia supera i 50 metri ed è una immensa fiumana di acqua, ingoiando un po’ alla volta l’argine e la strada del cimitero, urta contro il medesimo e si separa in due tenaglie. Ore 23, si chiama ancora la prefettura… però non si è ancora mosso nessuno. Poi si spezza il telefono e il paese resta completamente tagliato fuori da ogni comunicazione. Durante la notte la popolazione tutta si dà da fare per salvare persone e cose…»
«Al mattino del 5 verso le 7.30 arrivano i primi aiuti: 3 anfibi dei lagunari di Venezia. (…) Tutto il comprensorio del Delta Brenta è invaso dalle acque, con quote che variano da un metro a 3 nella zona di più bassa giacitura. Sotto la violenza delle acque di rotta si aprono sei falle nell’argine di conterminazione lagunare… Oltre a questa si sono prodotte due profonde rotte e altre minori nel canale Montalbano, uno squarcio dell’arginatura dell’Otregan e lo sfaldamento in due parti (in complessso 450 metri) nell’arginatura destra del canale Mira-Chioggia. Nella notte tra il 5 e il 6 molte famiglie dei Piovini passano momenti critici. Al mattino del 6 molta gente è portata a Chioggia con elicotteri. Il giorno 7 iniziano i lavori di pronto intervento per la tamponature di varie rotte, dando la precedenza a quella del Brenta… Dalla falle a mare, col diminuire dell’acqua dolce, con le alte maree, entra l’acqua salata che rimarrà fino a Natale».
«Il giorno 8 la situazione è ancora molto grave: mancano l’acqua potabile, la luce, il telefono e oltre 200 persone sono in attesa di essere portate in salvo».
Nel pomeriggio del 9 novembre, «su un galleggiante dei vigili del fuoco, arriva il vescovo Girolamo Bortignon. È tutto sporco di fango, in asilo rivolge parole di incoraggiamento al parroco, alle suore e a un gruppo di persone».
Nel bilancio di quei giorni terribili si contano 800 sfollati, 70 capi di bestiame perduti, il 90 per cento delle strade intransitabili, 732 milioni di lire di danni, nessuna vittima ma una desolazione infinita.