Venezia77: “Nomadland” si aggiudica il Leone d’oro e chiude una Mostra nel segno del coraggio e della fiducia ritrovata
Non c’è stata storia. Il film statunitense “Nomadland” diretto dalla regista cinese (ma americana d’adozione) Chloé Zhao ha stregato tutti in chiusura di concorso a Venezia77, aggiudicandosi senza rivali il Leone d’oro. Erano dieci anni che alla Mostra non trionfava una donna, l’ultima nel 2010 era stata Sofia Coppola con “Somewhere”. Una grande vittoria, perché oltre a riconoscere il valore dell’opera e della linea di racconto, lo sguardo sugli ultimi della società nella terra a stelle e strisce, esprime l’indubbia risonanza della proposta femminile alla Mostra
Non c’è stata storia. Il film statunitense “Nomadland” diretto dalla regista cinese (ma americana d’adozione) Chloé Zhao ha stregato tutti in chiusura di concorso a Venezia77, aggiudicandosi senza rivali il Leone d’oro. Erano dieci anni che alla Mostra non trionfava una donna, l’ultima nel 2010 era stata Sofia Coppola con “Somewhere”. Una grande vittoria, perché oltre a riconoscere il valore dell’opera e della linea di racconto, lo sguardo sugli ultimi della società nella terra a stelle e strisce, esprime l’indubbia risonanza della proposta femminile alla Mostra.
Sono state, infatti, le registe donne del concorso a fare al differenza, a mettere a segno le opere più belle, intense e memorabili.
A ben vedere, però, la vera vincitrice di questa edizione è proprio la Mostra stessa, che nonostante l’imperversare della pandemia, le tante paure diffuse come pure le restrizioni, le misure di sicurezza, si è svolta regolarmente, infondendo grande fiducia e voglia di riscatto. Ecco il punto a riflettori spenti sulla 77ma Mostra del Cinema della Biennale di Venezia con la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) e l’Agenzia Sir.
Un Leone d’oro che dà voce agli emarginati
C’erano tanti film buoni, di grande respiro, nella selezione di Venezia77 messa a punto dal direttore artistico Alberto Barbera.
Come non pensare a quelle storie di denuncia, tese a ricostruire la memoria di episodi di un passato più o meno recente come lo struggente “Quo vadis, Aida?” di Jasmila Žbanić, sul massacro di Srebrenica del 1995, l’intenso “Dear Comrades!” di Andrei Konchalovsky, sulla repressione degli operai nella Russia del 1962. Ancora, frammenti di presente segnati da perdite e distacchi come nell’intimistico “Pieces of a Woman” di Kornél Mundruczó (la protagonista Vanessa Kirby non a caso ha ottenuto la Coppa Volpi per la miglior interpretazione) o il poetico “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante, una famiglia ferita ma mai capace di dividersi o di abbandonarsi; un amore viscerale e resiliente, raccontato con grande energia.
Insomma, tanti titoli validi, validissimi, ma “Nomadland” si è distaccato all’ultimo momento da tutti, colpendo tra mente e cuore con una narrazione nel segno dell’impegno civile e della poesia dell’umano.
Il film diretto da una quasi quarantenne, Chloé Zhao, possiede uno sguardo profondamente maturo, un’idea di cinema chiara, che richiama i cantori degli ultimi, delle periferie, come sono Ken Loach, i fratelli Dardenne oppure Clint Eastwood, mettendoci inoltre pennellate di sentimento. La parabola di Fern, che Frances McDormand tratteggia in maniera più che credibile, sagomandola con vigore e delicatezza, è quella di una donna graffiata e scartata dalla vita che tuttavia non si arrende. Povera tra poveri, Fern prova a risalire la china e a incamminarsi sulla strada del domani; una strada abitata da tanti come lei, che rivelano sì affanno ma anche profonda dignità, umiltà e senso di solidarietà.
Un palmares giusto, ma qualcosa è mancato
I verdetti si accettano, tutti, senza abbandonarsi a polemiche. Diverso però è riconoscere che qualcosa è mancato.
Anzitutto, in un’edizione come Venezia77 con tante donne registe, ben otto, per la maggior parte autrici di opere di grande impatto, è spiaciuto vedere che il premio per la miglior regia sia andato a un film giapponese come “Wife of a Spy”, elegante e suggestivo ma senza evidenti slanci di stile. E perché allora non riconoscere la forza dello sguardo di una regista come Susanna Nicchiarelli, che si è confrontata con una biografia del passato, una donna di fine Ottocento, in maniera innovativa e accattivante? La Nicchiarelli ha esplorato le sfumature del sentimento e i sentieri della regione di Eleanor Marx con animo punk-rock. Se non lei, allora perché non il realismo di Jasmila Žbanić, che ha mostrato le ferite di una comunità dimenticata dall’Europa? Una storia, la sua, che aiuta a fare memoria condivisa e scommette anche sul domani, non lasciandosi andare a odio e risentimento.
Spiace poi non aver trovato un premio per Gianfranco Rosi,
che con il suo “Notturno”, molto elogiato dalla stampa italiana e internazionale, ha saputo accostarsi alla tragedia di territori infiammati da guerre e violenze con uno sguardo “altro”. Rosi ci ha parlato di chi vive sul confine dell’orrore, senza distinguere tra le varie realtà del Medio Oriente: ha parlato della comunità umana tutta, che con fatica cerca di rialzarsi da un abisso di dolore.
Coraggiosa e condivisibile, invece, è la scelta della giuria presieduta dall’attrice premio Oscar Cate Blanchett di attribuire un premio importante a Michel Franco per il suo “Nuevo orden”, film disturbante di assoluto taglio innovativo. Un’opera che ci parla di un possibile domani nero, nerissimo, con scontri di classe marcati da ferocia, che però non si perde nel compiacimento o nella mera esaltazione della violenza. Suona più come un monito per l’oggi, un invito a cambiare politiche economiche e sociali, invertendo quella rotta improntata sullo scarto.
Infine, dalla sezione Orizzonti, è uscito senza premio un piccolo gioiello di poesia, il film “Nowhere Special” di Uberto Pasolini, il racconto della quotidianità di un padre e un figlio di appena quattro anni nelle periferie inglesi odierne; una quotidianità minacciata dall’ingresso della morte ma che si apre alla tenerezza e alla speranza. Il successo di certo lo troverà in sala. Lo consigliamo!
Il coraggio si fa donna
Sono le storie di genitori, di madri e padri, a finire sotto la lente di osservazione di molti autori.
Genitori chiamati ad affrontare le paure più indicibili, quella della perdita del proprio figlio, e a trovare una via d’uscita dal limbo della sofferenza. Non c’è soluzione ovviamente al dolore, ma c’è la possibilità di non rassegnarsi e provare ad abbracciare un’idea di domani: lo fa l’insegnate Aida, nel film della Žbanić, che torna tra le aule di scuola; è quello che fa Martha, nell’opera di Mundruczó, che riannoda i fili familiari, superando gli irrisolti e trovando il proprio percorso per disinnescare la disperazione; lo fa infine Lyudmila, nel film Konchalovsky, che si aggrappa alla preghiera in cerca di aiuto e di conforto.
Insomma, donne forti, fortissime, molto più degli uomini, che hanno brillato (regalandoci non poca emozione e commozione) sullo schermo della Mostra e ora si preparano a conquistare il cuore del pubblico in sala.
E non vediamo l’ora di scoprire cosa ci riserverà Venezia78, già confermata al Lido dall’1 all’11 settembre 2021.