In gara Guadagnino con “Bones and All” e Wiseman con “Un Couple”. Al Lido anche “Padre Pio” di Ferrara
Luca Guadagnino è il primo dei cinque registi italiani a sfilare sul tappeto rosso di Venezia79. Presenta “Bones and All”, racconto della periferia americana attraverso l’on the road di due giovani deragliati, con Timothée Chalamet e Taylor Russell. Tra lirico e macabro. Torna poi in gara al Lido il veterano Frederick Wiseman, che presenta un inedito ritratto della famiglia Tolstoj attraverso la prospettiva della moglie Sofia. Infine, nella sezione Giornate degli Autori, è il giorno di “Padre Pio” firmato Abel Ferrara, che tratteggia l’arrivo del Santo di Pietrelcina in Puglia sulle macerie della Grande Guerra. Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra
Luca Guadagnino è il primo dei cinque registi italiani a sfilare sul tappeto rosso di Venezia79. Autore dallo stile fortemente internazionale, ormai di casa Hollywood, presenta “Bones and All”, racconto della periferia americana attraverso l’on the road di due giovani deragliati, con Timothée Chalamet e Taylor Russell. Tra lirico e macabro. Torna poi in gara al Lido il veterano Frederick Wiseman, regista statunitense che presenta un inedito ritratto della famiglia Tolstoj attraverso la prospettiva della moglie Sofia. Infine, nella sezione Giornate degli Autori, è il giorno di “Padre Pio” firmato Abel Ferrara, che tratteggia l’arrivo del Santo di Pietrelcina in Puglia sulle macerie della Grande Guerra.
Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra.
“Bones and All” – in Concorso
L’ultima volta che aveva partecipato in gara a Venezia era stato nel 2018 con “Suspiria”. A distanza di quattro anni Luca Guadagnino, regista palermitano classe 1971, si presenta in Concorso con un film profondamente a stelle e strisce, “Bones and All”, opera che prende le mosse dall’omonimo romanzo di Camille DeAngelis. Un viaggio on the road nel cuore degli Stati Uniti, nella periferia desolata, popolata da un’umanità che appare fragile e dispersa. Disgraziata.
Attraverso il macabro e angosciante “percorso di formazione” di due giovani ventenni, Guadagnino racconta un timido desiderio di riscatto.
Ha dichiarato: “C’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società che mi attira e commuove. Amo questi personaggi. Il cuore del film batte teneramente e affettuosamente nei loro confronti. Mi interessano i loro viaggi emotivi. Voglio vedere dove si aprono le possibilità per loro”.
La storia. Usa anni ’80, Maren (Taylor Russell) è una diciottenne che si sposta di città in città con il padre. Una sera la giovane, mossa da un istinto irrefrenabile, morde una compagna di scuola. Nello spaesamento, comprende di avere istinti cannibali sin dalla prima infanzia. Lasciata sola dal padre, Maren si mette in viaggio alla ricerca di risposte, anzitutto sulle tracce della madre scomparsa (Chloë Sevigny). Tra le prime conoscenze c’è il vagabondo Lee (Timothée Chalamet) che condivide gli stessi tormenti…
Sceneggiato da Dave Kajganich, “Bones and All” non è un film facile da affrontare. Sulle prime appare non poco respingente, soprattutto per il tema del cannibalismo.
C’è da dire, però, che Guadagnino stupisce e sorprende, perché maneggia materia incandescente con acuta eleganza, accostando note macabre a passaggi marcati da grande lirismo.
Senza nascondere dunque passaggi crudi e asciutti, che lasciano poco spazio all’immaginazione,
a ben vedere “Bones and All” sembra comporsi come una complessa metafora dell’emarginazione sociale.Maren e Lee sono due giovani cresciuti in uno sfondo periferico condizionato da difficoltà, povertà e violenze; sentendosi dei mostri per gli incontrollabili istinti che li assalgono, si mettono in viaggio in cerca di risposte.Due solitudini che si incontrano e tentano di salvarsi reciprocamente, provando ad arrestare la vertigine del Male che dimora in loro.
Una tragica ricerca della salvezza.
Si rimane interdetti al termine della visione, suggestionati da immagini terrificanti legate al cannibalismo, ma al contempo affascinanti da un racconto allegorico di ultimi in cerca di futuro. “Bones and All” risulta una poesia che rischia però di rimanere impantanata nel raccapricciante. Complesso, problematico e per dibattiti, il film è indicato per adulti.
“Un couple” – in Concorso
Bostoniano classe 1930, Frederick Wiseman è un veterano dei festival. A Venezia, oltra a partecipare diverse volte in Concorso – l’ultima volta nel 2017 con il documentario “Ex Libris: The New York Public Library” –, è stato omaggiato nel 2014 con il Leone d’oro alla carriera. Novantenne si mette ora nuovamente in gioco dirigendo il suo primo film di finzione dopo una carriera nel documentario: è
“Un couple”, racconto della relazione tra lo scrittore Lev Tolstoj e sua moglie Sofia attraverso le parole di quest’ultima,
un monologo ambientato nell’isola di Belle Île, sulle coste della Bretagna. A interpretarlo è l’attrice Nathalie Boutefeu, che firma anche la sceneggiatura a quattro con Wiseman.
La storia. Sofia Tolstoj è sola, a passeggio tra la campagna e la costa francese. Rilegge ad alta voce la sua lunga relazione trentennale con lo scrittore Lev Tolstoj, conosciuto all’età di soli diciotto anni. Nel corso di tre decenni la coppia ebbe tredici figli, condividendo tutto, dall’arte al sentimento…
Un’opera di breve durata, appena 64’, che risulta però “torrenziale”.Una sola voce, quella di Sofia, che ripercorre la storia del suo matrimonio alternando la tenerezza dell’incontro con Tolstoj ai tormenti del quotidiano, segnati spesso da assordanti silenzi. Nel monologo emerge il racconto di una donna sfiancata dal rimanere accanto a un uomo di tale statura, che spesso però le riservava poca attenzione. Un flusso di pensieri e sentimenti contrastanti, che apre uno sguardo laterale (non marginale) su un grande scrittore.La regia di Wiseman dà il suo meglio nei dettagli ambientali, nella messa in cornice del monologo;
nell’insieme l’opera va apprezzata per la capacità di sperimentazione di un autore che fonde natura, cinema e teatro. Un racconto raffinato e puntuale, senza però sussulti. Consigliabile, semplice, per dibattiti.
“Padre Pio” – Giornate degli Autori
A trent’anni dalla sua opera più celebre “Il cattivo tenente” (1992), il regista newyorkese
Abel Ferrara torna a confrontarsi (non dimenticando “Mary” del 2005) con i temi della fede e del Mistero.
Nella sezione Giornate degli Autori di Venezia79 presenta “Padre Pio”, una coproduzione Italia-Germania che racconta l’arrivo di Padre Pio a San Giovanni Rotondo sul finire della Prima guerra mondiale.
La storia. Nel territorio foggiano, sul finire della Grande guerra, si consuma un duro scontro di rivendicazione sociale mosso da istanze socialiste. I lavoratori della campagna reclamano più diritti, ma l’ordine politico reggente reprime con i fucili il dialogo. In quei confusi e tragici eventi, Padre Pio compie i primi gesti miracolosi sperimentando al contempo i tormenti del Male, allucinazioni e tentazioni come Gesù nel deserto.
Il lavoro di Ferrara esplora le direttrici della Storia e gli orizzonti della fede.
Si accosta alla figura di Padre Pio con rispetto, addentrandosi soprattutto nelle sue “zone d’ombra”, ossia i momenti di tentazione da parte del Male.Con efficacia Shia LaBeouf si mette a servizio del personaggio dosando espressività e gestualità. Un lavoro acuto e misurato.
A ben vedere, lo sguardo su Padre Pio è la parte più riuscita del progetto; i raccordi storici risultano infatti non poco didascalici. Consigliabile, problematico, per dibattiti.
La nota critica di Massimo Giraldi, presidente Cnvf – Giuria Signis
“Ancora una volta Luca Guadagnino dimostra di possedere una grande forza espressiva. In ‘Bones and All’ dimostra di saper passare con disinvoltura e forza d’urto dalle più dolci sfumature del sentimento alla ferocia di situazioni sul confine dell’horror. I due ragazzi diventano protagonisti di una storia on the road che si snoda nelle immense periferie americane, senza intravedere mai una luce di uscita.
Un racconto fosco e disperante, dove il tema del cannibalismo si fa palese metafora di situazioni contemporanee.
Al contrario, Wiseman con ‘Un couple’ ci riporta sulle rotte di un cinema di matrice classica. L’autore come sempre si distingue per inquadrature descrittive di grande suggestione e bellezza; la sua vis narrativa nei terreni della finzione appare però poco memorabile”.