Il ritorno di Tom Cruise con “Top Gun: Maverick”. E il film fa subito centro
Trentasei anni dopo il successo di “Top Gun” (1986) diretto dal compianto Tony Scott, tra i titoli più iconici (un cult!) della Hollywood anni ’80 – insieme a “Star Wars”, “Indiana Jones”, “Blade Runner”, “E.T. l’extra terreste”, “Ritorno al futuro” e “Dirty Dancing” –, Tom Cruise e il produttore Jerry Bruckheimer riprendono le avventure del tenente Pete “Maverick” Mitchell
Bentornato Maverick. Bentornato Tom! Trentasei anni dopo il successo di “Top Gun” (1986) diretto dal compianto Tony Scott, tra i titoli più iconici (un cult!) della Hollywood anni ’80 – insieme a “Star Wars”, “Indiana Jones”, “Blade Runner”, “E.T. l’extra terreste”, “Ritorno al futuro” e “Dirty Dancing” –, Tom Cruise e il produttore Jerry Bruckheimer riprendono le avventure del tenente Pete “Maverick” Mitchell. Un’operazione che sulla carta poteva risuonare rischiosa e ambiziosa, pervasa dal pericolo di incappare in un valzer nostalgico di poca sostanza. E invece “Top Gun: Maverick” diretto da Joseph Kosinski è un film riuscito, che conquista, coinvolge e persino commuove. Sarà nelle sale dal 25 maggio, dopo l’anteprima al 75° Festival di Cannes.
Il punto Cnvf-Sir.
Se Maverick sale in cattedra
Dopo trent’anni il tenente Maverick (Tom Cruise) si conferma un pilota fuoriclasse della US Navy, sempre poco incline al rispetto di ordini e regole. Dopo l’ennesimo colpo di testa, viene sollevato dall’incarico e mandato ad addestrare piloti scelti della Top Gun. È l’anticamera del pensionamento. In poco meno di tre settimane Maverick deve mettere su un team per una missione segreta legata alla sicurezza nazionale. Tra i giovani allievi trova anche il figlio del compianto amico Goose: è Bradley (Miles Teller), noto a tutti come “Rooster”. Tra di loro non corre buon sangue, proprio perché il ragazzo lo crede responsabile non solo della morte del padre ma anche degli ostacoli incontrati sul suo cammino come pilota. Alla Top Gun, Maverick incontra anche una sua vecchia fiamma, Penny (Jennifer Connelly), che gestisce un bar nella base.
Una reunion che emoziona
Si è ricomposto quasi tutto il team originario nel progetto “Top Gun: Maverick”.
Mancano all’appello il regista Tony Scott, scomparso purtroppo nel 2012, cui va la dedica finale del film, e l’attrice Kelly McGillis. Tom Cruise, in veste di attore e produttore, insieme a Jerry Bruckheimer – che ha messo a segno granitici incassi al botteghino con “Beverly Hills Cop”, lo stesso “Top Gun” e il ciclo “Pirati dei Caraibi” – rimettono in pista le acrobazie di Maverick, in una storia che si riallaccia al passato, trovando punti di contatto e continuità con il vissuto del pilota e degli amici Goose (Anthony Edwards), Carole (Meg Ryan) e Ice (Val Kilmer).
Se i personaggi di Goose e Carole sono evocati come dolci e dolenti ricordi, a regalare una vibrante emozione è senza dubbio il personaggio di Ice:
Val Kilmer ha avuto il coraggio di tornare in scena non nascondendo la sua battaglia con un tumore, ma portando il suo problema anche nel personaggio.
Scena e retroscena così si fondono, nel segno della commozione. E allora spiazza, intenerisce, il faccia a faccia tra Ice, ormai ai vertici della Marina, e l’amico Maverick. Tra loro basta uno sguardo, e si legge tutto. E forse di più.
Mission (im)possible?
Alla regia c’è Joseph Kosinski – “Tron: Legacy” (2010) e “Oblivion” (2013) –, ma a ben vedere a guidare la macchina di “Top Gun: Maverick” sembra esserci soprattutto lui, Tom Cruise, che ha fortemente voluto il film, già tratteggiato all’epoca del fragoroso successo di “Top Gun”. Ci sono voluti più di tre decenni per arrivare a rimettere mano alla storia in maniera credibile e per trovare la chiave visiva giusta per non tradire le attese dei tanti fan. Banco di prova sono stati di certo la linea del racconto, il riuscire a recuperare quelle piste narrative di per sé già esaurite, e il riconfermare scene di volo mozzafiato. Diciamolo subito: missione compiuta!
Anzitutto la storia – tra le firme Peter Craig e Christopher McQuarrie – decolla con grande fluidità, dinamismo e tensione.
Seguiamo infatti l’evoluzione della vita di Maverick, che nel corso dei decenni è rimasto pressoché uguale, fedele a se stesso, un geniale pilota insofferente a costrizioni. Ammaccato, segnato dal tempo, ma senza però aver perso un briciolo di fascino come pure testardaggine, Maverick è sempre in pista.Forse è più fragile nell’animo, permeabile alle emozioni,
perché segnato dalla morte del sodale amico Goose. E colpisce quando da solo ripete a voce alta, mentre è in volo: “Talk to me, Goose”, “Parlami amico mio, Goose aiutami”.
Maverick è un personaggio capace di dare ancora molto. Messo alle strette, accetta di insegnare (si ribalta il plot del primo film, da allievo a maestro) e trova il modo di condividere quella sua visione del volo, del mestiere di pilota, con una nuova generazione di talenti (tra gli attori in evidenza Miles Teller e Glen Powell).
La cosa che insegna loro è soprattutto a seguire l’istinto e a fare squadra, a trovare la coesione non come colleghi-rivali ma come pari, professionisti solidali pronti a sconfinare nei territori dell’amicizia.
Quel terreno a lui caro, condiviso a suo tempo con Goose e con Ice.
Ancora, come prevedibile, Maverick mette in campo anche sfumature sentimentali, ritrovando un amore del passato, Penny (cui presta il volto Jennifer Connelly). Ormai cinquantenni, entrambi conservano il profumo di un amore giovanile bilanciato però dall’esigenza di un equilibrio più stabile, di un sentimento maturo, fatto di presenza e continuità.
In tutto questo, va di certo apprezzato il lavoro espressivo di Tom Cruise,
che da veterano di Hollywood risplende sullo schermo ancora con notevole fascino e capacità. In piena forma.
Realismo immersivo in volo
Altro elemento chiave di “Top Gun: Maverick” sono le riprese in volo, la messa in scena aerea.
Torna tutto lo spirito, l’adrenalina del primo “Top Gun”, amplificato dalle potenzialità del cinema odierno. Il regista non lesina su movimenti di macchina a effetto, ma si mantiene prudente, lontano dalle esagerazioni.
Rispetta la linea visiva del racconto originario, dando conto del tempo trascorso in termini di avanzamento tecnologico; non snatura il progetto, ma lo accompagna con realismo accurato. E sono proprio le scene di volo a tenere con il fiato sospeso, insieme al rapporto a corrente alternata tra Maverick e il figlioccio Rooster.
Kosinski governa dunque bene la macchina, che gira sicura e spedita. E poco importa se la missione segreta appaia piuttosto fumosa, poco credibile, oppure se gli snodi della trama nell’ultimo giro di sequenze scricchiolino un po’.
Nell’insieme “Top Gun: Maverick” risulta compatto, solido, percorso da riuscite atmosfere produttive-narrative anni ’80. Non una mera operazione nostalgia, ma un rielaborare il passato con uno sguardo libero e nuovo.
Le sonorità anni ’80 e la potenza vocale di Lady Gaga
In ultimo la colonna sonora, che vede la collaborazione tra Hans Zimmer (“No Time to Die”, “Dune”) e Lorne Balfe (“The Crown”, “Mission: Impossible”). Le sonorità sembrano in parte riesplorare quelle degli anni ’80, percorrendo poi sentieri nuovi. E così procede anche il brano portante “Hold My Hand” di cui Lady Gaga è interprete, autrice e produttrice: un’operazione in linea con il fortunato “Take My Breath Away” di Giorgio Moroder e Tom Whitlock, Premio Oscar e Golden Globe nel 1987. “Hold in My Hand” punta sulle potenzialità vocali di Lady Gaga, che spinge il brano in alto, con forza e pienezza, in armonia con le prodezze in volo di Maverick. E si apre già la partita agli Oscar 2023.
La parola ora allo spettatore: di certo, va detto che un film così che va visto al cinema, dove è possibile apprezzare al massimo le potenzialità visive dell’opera. Un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, per vecchi e nuovi appassionati. “Top Gun: Maverick” è consigliabile, semplice.