Atlante delle parrocchie 1: da Abano ad Arre
Primo fascicolo della raccolta dedicata a storia, arte, servizi delle 459 comunità parrocchiali della diocesi, ora riproposta in una duplice forma: in pdf per chi vuole conservare l'intera raccolta e in singole pagine dedicate a ciascuna parrocchia che propongono – accanto alla storia, alle opere d'arte e ai riferimenti della comunità – anche l'elenco di tutti i servizi giornalistici realizzati dalla Difesa negli ultimi anni.
Una porticina celata nel fondo del presbiterio della parrocchiale di Albignasego si apre su un piccolo scrigno prezioso del Cinquecento: cappella Obizzi, resto della cappella maggiore dell’antica chiesa parrocchiale, sostituita tra Otto e Novecento da quella attuale.
Gli affreschi che la decorano completamente occupano una superficie di quasi 90 metri quadrati: il loro autore più probabile, secondo gli studiosi, è Stefano Dall’Arzere, pittore padovano nato intorno al 1515, 500 anni fa (ma studi recenti anticipano la nascita al 1505), e molto attivo nella metà del Cinquecento fino alla morte avvenuta tra il 1575 e il 1581.
Sulle pareti laterali della cappella campeggiano quattro scene della vita dell’apostolo san Tommaso, che la tradizione indica come l’evangelizzatore delle Indie. Su un lato viene mostrato l’apostolo mentre battezza la figlia del re delle Indie e, sotto, mentre viene portato al cospetto del re.
Sull’altro lato il re Gundaphor riconosce la santità di Tommaso e gli chiede scusa, mentre, nella parte sottostante, l’apostolo subisce il martirio, trafitto dalla lancia di un bramino.
Sulla parete centrale, sotto l’affresco del catino absidale della Natività di Gesù e l’Annunciazione dell’arco trionfale, un trittico su tavola mostra l’episodio centrale della vita di san Tomaso, quando Gesù risorto lo invita a toccare con mano le sue piaghe ed egli, per primo riconoscendo la divinità di Cristo, esclama «Mio Signore e mio Dio».
La decorazione a fresco è completata dai quattro evangelisti effigiati nelle vele della volta, i quattro padri della chiesa latina (Agostino, Ambrogio, Girolamo e Gregorio Magno), inseriti nel sottarco anteriore e i quattro patroni della diocesi (Giustina, Prosdocimo, Daniele e Antonio) nel sottarco d’ingresso.
La “macchina iconografica” dell’intera cappella sembrerebbe essere ispirata quindi al tema dell’espiazione dell’incredulità, del riscatto e della liberazione attraverso la testimonianza di fede, condotta fino al martirio, e l’impegno evangelizzante. I committenti dell’apparato decorativo sembrano essere Girolamo e il cugino Gian Pietro, rappresentanti di due rami della potente famiglia degli Obizzi, che aveva il giuspatronato sulla chiesa, mantenuto fino all’Ottocento.
Lo stemma degli Obizzi è dipinto sulla chiave di volta della cappella. Il loro ritratto a mezzo busto appare nei comparti laterali del trittico, sotto alle immagini di sant’Antonio e santa Caterina d’Alessandria.
Lo stile di Stefano dall’Arzere, secondo gli studiosi, si rivela nel manierismo complessivo delle composizioni, ispirato al Tiziano e ai suoi epigoni, ma filtrato, come scrive lo storico dell’arte Lucio Grossato, «nella rudezza e piglio delle immagini, nel compiacersi di forti caratterizzazioni fisionomiche».
Le parrocchie del primo fascicolo
Il primo fascicolo dell’Atlante delle parrocchie presenta, in ordine alfabetico, 11 comunità: Abano, Agna, Alano di Piave, Albignasego, Altichiero, Anguillara Veneta, Arcella, Arino, Arlesega, Arquà Petrarca e Arre. Le opere d’arte e gli autori tra cui scegliere per l’approfondimento sono stati quindi parecchi.
Oltre ad Albignasego, il duomo di Abano conserva una tela attribuita ad Antonio Zanchi e magnifici elementi di bronzo dorato (ambone, leggio, pala-reliquiario) realizzati dalla bottega di Mario Pinton.
Il santuario dell’Arcella, realizzato tra Otto e Novecento, conserva opere di Rinaldo Rinaldi, allievo prediletto del Canova, Pietro Pajetta, Luigi Minisini e Giuseppe Siccardi.
Ad Arquà Petrarca, tra gli affreschi trecenteschi, spicca il polittico di sant’Agostino (nella foto qui sotto), dipinto nel 1370 e attribuito a Jacobello di Bonomo, seguace della scuola di Lorenzo Veneziano.
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