Quattro mesi fa la morte di 13 detenuti durante le rivolte. Tanti gli interrogativi
Non era mai accaduto dal secondo dopoguerra ad oggi che morissero così tanti reclusi. Parenti e associazioni di volontariato chiedono verità e giustizia. Perché sono morti? Perché non sono stati resi pubblici i loro nomi? Perché quattro sono morti durante il trasferimento in altre carceri? Il Garante nazionale ha chiesto la consulenza dell'antropologa forense Cristina Cattaneo
Domenica scorsa in un cimitero in provincia di Varese è stato dato l'ultimo saluto a uno dei 13 detenuti morti durante le rivolte scoppiate nei giorni dal 7 al 10 marzo in 49 carceri. Sono passati quattro mesi e parenti e volontari delle associazioni impegnate nei penitenziari chiedono che sia fatta chiarezza.
Cinque detenuti sono morti nel carcere di Modena e altri quattro mentre venivano trasferiti, una volta finita la rivolta, in altre carceri. Tre sono morti invece nel carcere di Terni e uno in quello di Bologna. Quei morti sembrano dimenticati. Eppure non era mai accaduto, nella storia d'Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, che si consumasse nelle carceri una simile tragedia. Su dirittiglobali.it è possibile firmare una petizione-appello, in cui viene proposto alle associazioni, agli avvocati, ai Garanti dei diritti delle persone private della libertà e alla rete dei media sociali di “costituire assieme un Comitato che lavori da subito alla raccolta di informazioni sulle vicende di quei giorni e che si proponga – nel rispetto ma anche nella sollecitazione delle competenze istituzionali – di fare piena chiarezza sull’accaduto”.
Le rivolte sono scoppiate nel pieno della pandemia da Covid-19 e sono da collegare a due fattori: il sovraffollamento e la tensione crescente in quei giorni per il rischio di contagio e per la sospensione dei colloqui con i parenti e di ogni attività trattamentale. Un mix esplosivo, che in molte carceri ha trovato sfogo in proteste pacifiche, mentre in altre in barricate, incendi, devastazioni e saccheggi. A Foggia sono anche evasi 72 detenuti (poi tutti rientrati, alcuni spontaneamente). Il carcere di Modena è stato chiuso perché inagibile e i detenuti trasferiti in altre città. Sono 40 gli agenti della polizia penitenziaria feriti.
Il Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà, Mauro Palma, nella relazione al Parlamento ha annunciato, il 26 giugno scorso, che per i 13 deceduti seguirà le indagini in corso attraverso la nomina di un proprio difensore e di “un consulente medico legale per le analisi degli esiti autoptici”. Per i nove morti detenuti a Modena, il consulente legale del Garante nazionale è Cristina Cattaneo, ordinario di Medicina Legale all’Università degli Studi di Milano e direttore del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense della stessa Università. Una scienziata già molto nota per i tanti casi sui quali è stata chiamata a fare luce e per il progetto, portato avanti da anni, di restituire un nome ai migranti morti in mare.
Anche in questa vicenda i nomi hanno un significato importante. Dopo le rivolte, per molti giorni non si è saputo i nomi di chi era morto. Sono poi emersi solo grazie all'impegno di due giornalisti, Luigi Ferrarella, del Corriere della Sera, e di Lorenza Pleuteri (www.giustiziami.it), che con l'aiuto delle associazioni sono riusciti a rendere pubblico nomi, cognomi, età e qualche aspetto della loro vita.
La domanda principale ora è: perché sono morti? Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, intervenendo l'11 marzo al Senato con un'”informativa sull'attuale situazione delle carceri”, ha affermato che “dai primi rilievi, sembrano per lo più riconducibili all'abuso di sostanze sottratte alle infermerie durante i disordini”. Sarebbero morti per overdose di metadone. Parenti, associazioni, ma in realtà lo Stato e ogni cittadino, hanno bisogno di sapere, non basta quel “per lo più”. Una tragedia di queste dimensioni avrebbe bisogno di un dibattito parlamentare, di una commissione d'inchiesta. Per rispondere anche a questa domanda: come è potuto accadere?
Ci sono altri interrogativi a cui bisognerà dare una risposta. Come è possibile che ben quattro detenuti del carcere di Modena siano deceduti durante il trasporto in altri istituti penitenziari? Chi ha stabilito che potessero affrontare il viaggio invece di essere ricoverati in ospedale?
C'è infine il capitolo delle presunte violenze sui detenuti da parte degli agenti della Polizia penitenziaria dopo che le rivolte erano cessate. Quindi violenze non per sedare la ribellione, ma per punire. L'associazione Antigone ha presentato quattro esposti ad altrettante Procure. E anche il Garante dei detenuti di Milano, Raffaele Masto, ha inviato un'informativa alla Procura della Repubblica dopo aver ricevuto diverse segnalazioni da parte di parenti dei reclusi del carcere di Opera.
I nomi dei detenuti morti sono: Salvatore Piscitelli Cuono (40 anni), Hafedh Chouchane (36 anni), Slim Agrebi (41 anni), Alis Bakili (53 anni), Ben Masmia Lofti (40 anni), Erial Ahmadi (36 anni), Arthur Isuzu ( 30 anni), Abdellah Rouan (34 anni), Hadidi Ghazi (36 anni), Marco Boattini (35 anni), Ante Culic (41 anni), Carlos Samir Perez Alvarez (28 anni), Haitem Kedri (29 anni). (dp)