Poesia e musica: oggi non ha senso parlare di separazione netta
C’è voluto il Nobel per la letteratura a Bob Dylan nel 2016 per sdoganare la canzone d’autore dall’esilio in cui l’accademia l’aveva confinata.
“Amor che ne la mente mi ragiona
Cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi sona”.
Siamo nel secondo canto del Purgatorio e sta avvenendo qualcosa cui la critica “militante” non ha mai prestato troppa attenzione: un cantore amico di Dante, il misterioso Casella, intona una poesia del Fiorentino, tratta dal Convivio, “Amor che nella mente mi ragiona” e tutte le anime che si trovano nei pressi si fermano, incantate da quel dolce suono. E’ una delle più autorevoli prove che già ai tempi di Dante vi era una comunione profonda tra musica e poesia. I cantautori non sono solo caratteristica dei nostri tempi: da sempre cantanti professionisti, come Casella, intonano testi di grandi poeti. Molto prima di Dante, trovatori, trovieri e giullari giravano di corte in corte e di castello in castello, intonando, a volte accompagnandosi con strumenti, poesie d’amore, di loro composizione o di altri autori. La separazione tra canzone – ritenuta “roba per gente poco istruita”- e poesia – riservata ai colti – è venuta molto dopo, e non sempre autentici poeti in musica come Brassens, Brel, Cohen, De Andrè, solo per fare dei nomi, sono stati riconosciuti come tali. C’è voluto il Nobel per la letteratura a Bob Dylan nel 2016 per sdoganare la canzone d’autore dall’esilio in cui l’accademia l’aveva confinata.
Il fatto è che molti hanno ripetuto la solita solfa di “sono solo canzonette”, anche per canzoni che in realtà sono autentiche poesie, con qualche sorpresa: in alcuni di questi brani vi era un autentico, profondo accento religioso. Ad esempio “Oggi un Dio non ho”, che Raf cantò nella sonnacchiosa Sanremo del 1991, è la testimonianza di un vero e proprio biblico combattimento con l’angelo, perché esprime un senso di crisi ma anche di speranza che dopo la notte arrivi il mattino: “E nell’amore sì/ io rinascerò/ chissà dove sei/ negli abissi miei ti ritroverò/ oggi un Dio non ho”.
Ma anche i grandi maestri si rifacevano spesso a tematiche bibliche, evangeliche e religiose: il compianto Leonard Cohen scrisse una canzone, Hallelujah, nella quale preghiera, Scritture, amore e ricordi si fondono inestricabilmente. Il già citato Bob Dylan ha spesso parlato di Dio, di personaggi biblici e di fede nelle sue composizioni, una delle quali, “Chimes of freedom”, è un attualissimo (risale agli anni Sessanta) struggente omaggio disperati che vivono ai margini delle grandi metropoli (“ogni mite anima innocua/ costretta dentro una prigione”) e sui quali aleggia il suono delle “campane della libertà”. I Beatles in “Let it be” cantarono una sorta di visione mariana, mentre in Italia Francesco De Gregori ha affrontato temi profondi, che toccano il pellegrinaggio e la memoria struggente, in grado di cambiarci la vita, come in “L’angelo di Lyon”, cover di un pezzo degli americani Tom Russel e Steve Young. Alcuni si ricorderanno della canzone dei Nomadi, “Dio è morto” (di Francesco Guccini) che fece scandalo pur essendo semplicemente un grido di protesta contro l’abitudine e le professioni di fede non tradotte nei fatti.
Elencare tutte le canzoni che sono state anche autentiche poesie sarebbe un’impresa titanica, proprio perché ci sono sempre state e, per nostra fortuna, probabilmente ci saranno ancora a lungo.
Marco Testi