Il saluto dell’uomo al creato. Gli ottocento anni del Cantico di san Francesco

Nell’Umbria del XIII secolo ecco nascere una nuova forma di ringraziamento a Dio che pone le sue radici nel passato e che nel contempo si getta verso il futuro

Il saluto dell’uomo al creato. Gli ottocento anni del Cantico di san Francesco

Probabilmente la più antica composizione in volgare italiano, ma certamente la più evidente contraddizione della letteratura e dell’universo culturale intero. A ottocento anni dalla sua creazione -o forse dalla fine della sua composizione, iniziata secondo alcuni nel 1224- il Cantico di Frate Sole (è questo il “titolo” più antico, quello voluto dallo stesso Francesco) rappresenta la negazione di tutto ciò che si crede alla base della poesia: la struttura formale, l’eleganza generata dallo studio costante, la cultura in grado di assimilare dotte lezioni precedenti, l’ossessiva ricerca della perfezione e della raffinatezza.

Le lodi del creato del Poverello non sono affatto prive di una loro musicalità, un ritmo interiore dettato non dall’osservanza metrica, ma da assonanze, da un’accentazione tutt’una con un respiro condiviso e non imposto dalla retorica. Una semplice, rivoluzionaria, “democratica” condivisione non solo con gli uomini, ma con l’universo intero. Certamente nel Cantico è presente la conoscenza biblica, soprattutto di Daniele e del Salmo 148. Nel primo caso i tre giovani nella fornace intonano un canto di benedizione a Dio attraverso i cieli, le acque, il sole e la luna, il fuoco, la terra e le “creature tutte”; nel salmo ecco l’invito ad una “lode cosmica” in cui l’autore si rivolge a tutte le creature del cielo e della terra, anche quelle inanimate.

Il tempo e lo spazio determinano i nuovi modi di creazione, e nell’Umbria del XIII secolo ecco nascere una nuova forma di ringraziamento a Dio che pone le sue radici nel passato di cui abbiamo parlato ma che nel contempo si getta verso il futuro, proponendo una nuova poetica che affascinerà tutti, e per tutti si intendano i lontani dalla fede, come Carducci, o i destinati ad incontrare nuove forme religiose, come Hesse, ma anche Pascoli, Dino Campana, Pirandello, registi come Cavani, Zeffirelli, Özpetek, musicisti come Liszt: e sono solo pochi esempi di quanto il Cantico sia divenuto uno dei centri culturali del pianeta.

Francesco si trovava a san Damiano, luogo fondamentale per il suo cambiamento, anche perché vi erano Chiara con le altre sorelle, e ormai è certo che abbia composto il Cantico per essere accompagnato da una melodia da lui stesso suggerita. Non è un caso che il codice più antico del Cantico abbia uno spazio libero per “riportare la notazione musicale che sarebbe servita a cantare il primo versetto”, valida anche per quelli seguenti, come spiega Jacques Dalarun nel suo “Corpus franciscanum”.

Ci si è chiesti se quel “per” del Cantico significhi “grazie”, o “per mezzo”, o “attraverso” le creature, ma è probabilmente una domanda che non tiene conto di quella capacità della vera poesia di andare oltre il singolo, meccanico significato, e di investire il senso profondo del sentire creaturale. Non a caso Francesco si affida non a figure retoriche raffinate, ma all’aggettivo “belle” per le stelle e “bello” per il fuoco, come se volesse suggerire la comune, spontanea, nativa percezione di una creazione impossibile da comunicare con le raffinatezze della retorica.

Si guardi bene: non un ringraziamento a Dio per il bene fisico e morale; Francesco era gravemente malato e per di più rattristato da eventi del periodo, come lo scontro tra il podestà di Assisi e il vescovo della città, che lui stesso contribuirà a risolvere, e i dissapori all’interno di un ordine che iniziava a mostrare problematiche estranee alla sua sensibilità e alla sua visione dello stare insieme. Non, quindi, una situazione di benessere, ma anzi, un momento di crisi e di sofferenza. E ciò nonostante ecco l’accettazione e l’abbraccio al creato. Un abbraccio che rimarrà nella storia dell’uomo, e non solo della letteratura.

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Fonte: Sir