La vera pace dentro di noi. L’ammonimento di Tolstoj contro l’inutilità delle guerre
La pace di Tolstoj, che sarà poi ripresa da Gandhi, è immersa nella storia apparentemente con la lettera minuscola, nella non resistenza alla violenza e al male
La guerra, le rivendicazioni, le strategie, la violenza e l’onore, l’invasione e la difesa: parole, e purtroppo realtà tragicamente attuali oggi come negli anni sessanta dell’Ottocento, quando il nobile possidente Lev Tolstoj, già al centro di polemiche per i Racconti di Sebastopoli, in cui aveva messo in rilievo l’orrore senza senso della guerra, si accinge a raccogliere le sue riflessioni su altre violenze. E altre guerre. Perché quello che sarebbe passato alla storia con il titolo di Guerra e pace ha come centro focale la spedizione di Napoleone in Russia, dal 1803 al 1813: un decennio che il già volontario e poi ufficiale di artiglieria nella guerra del Caucaso stava iniziando a rivedere criticamente nella sua coscienza di ex militare, proprietario terriero, uomo di cultura già sul palcoscenico mediatico di allora. Troppo, per quella coscienza che iniziava a sussurrargli qualcosa. Un qualcosa che lo porterà lentamente al rifiuto dei suoi privilegi, alla rottura con la buona società russa, e alla fuga dall’antica vita, che si concluderà nella stazione ferroviaria di Astapovo il 7 novembre del 1910.
Ma già molto prima di quella estrema conversione all’essenziale, ad un cristianesimo di condivisione al di fuori dell’ufficialità della chiesa ortodossa, che lo aveva scomunicato, i personaggi di alcune sue storie parlavano per lui. Come il Pierre Bezuchov di Guerra e pace, roso da dubbi esistenziali che trova solo nelle povere parole del contadino Platon la chiave di tutto il suo cercare. E non solo parole, questo è il centro di Guerra e pace come di tutta l’opera di Tolstoj, ma reale azione nella piccola storia di tutti i giorni, perché quel contadino analfabeta che non sa neanche quanti anni ha, “per Pierre rimase sempre quel che gli era apparso la prima notte: ineffabile, rotonda, eterna personificazione della semplicità e della verità”.
La pace è nascosta lontano dai salotti della nobiltà o dalla ridicola convinzione di condottieri come Napoleone di essere la concretizzazione della Storia e di poter pacificare il mondo sotto il proprio potere provvidenziale. La pace di Tolstoj, che sarà poi ripresa da Gandhi, è immersa nella storia apparentemente con la lettera minuscola, nella non resistenza alla violenza e al male, perché ricambiare male con male significherebbe rendere eterno quel male e diventarne quindi complici. La stessa morte dell’altro protagonista di Guerra e pace, Andrej, nella contemplazione e accettazione della divina provvidenza che passa oltre le nostre volontà razionali, è un altro segno della presenza di una pace superiore alle ridicole pretese di realizzare la storia globale. Lo sbriciolamento e la malinconica fine in esilio di Bonaparte sono per lo scrittore russo la prova provata che ogni pretesa di incarnare le magnifiche e progressive sorti dell’umanità è ridicolizzata da quella stessa storia.
Gli umili, coloro che condividono il poco come il tanto (nel caso del Tolstoj di prima) qui e ora, nel freddo che aggredisce i viandanti, nella fame che minaccia i bambini, nella piccola realtà di ogni giorno, sono i portatori di pace che diventano i veri protagonisti, contadini senza memoria di sé, di Guerra e pace come di Anna Karenina. Tolstoj cercò la pace in loro, fino a tornare a loro anche nella realtà della sua vita, scegliendo l’addio al troppo e all’inutile.