La speranza oltre il destino. Riflessioni sulla mostra di Van Gogh alla National Gallery di Londra
I due anni compresi nell’esposizione di Londra, 1888 e 1889, rappresentano un punto di svolta nella tribolata vita di Vincent: è infatti il periodo in cui accetta di essere curato nel manicomio di Saint-Rémy
“Ma ti trovi di fronte a un chiaro rifiuto!” obietterai. Rispondo: “Vecchio mio, per il momento considero quel rifiuto come un blocco di ghiaccio che mi stringo al cuore, sperando di riuscire a scioglierlo”.
È un passo della lettera di Vincent Van Gogh al fratello Theo del luglio 1881. Quando le altre parole sono inutili, rimane la bellezza. E il tentativo. Quale bellezza intendesse il pittore tragicamente scomparso nel 1880 ce lo suggerisce la mostra in corso (fino al 18 gennaio 2025) alla National Gallery di Londra, che raccoglie 61 opere del grande artista, fin dal titolo: “Poeti e amanti”. Non solo quegli amanti che fanno capolino in alcune opere, come nel disegno della Notte stellata realizzato in una lettera inviata a Eugène Bloch del 1888, ma ad esempio in un’altra Notte stellata, quella sul Rodano, del medesimo anno, con la presenza di una coppia di innamorati sottobraccio che sembrano sorridere. E questo la dice lunga sulla speranza racchiusa nello sguardo dell’arte in una vita che ne sembra priva.
Quell’amore solo sfiorato, nel suo rapporto con Sien e con il bambino di lei, e poi cercato in modo certamente contraddittorio ma anche capace, come nel passo della lettera al fratello, di intuire l’abissale bellezza della speranza al di là del suo reale compimento. Anche quando la bellezza dell’incontro d’amore lui la vedeva riflessa negli sguardi delle altre coppie, nel loro abbracciarsi o darsi la mano: era come se quell’amore visto -e rappresentato- da fuori diventasse in qualche modo anche il suo, quello dentro se stesso. Pur sempre amore.
I due anni compresi nell’esposizione di Londra, 1888 e 1889, rappresentano un punto, l’ennesimo, di svolta nella tribolata vita di Vincent: è infatti il periodo in cui accetta di essere curato nel manicomio di Saint-Rémy, durante il quale continua a rappresentare, in oltre 200 opere, la vita nella sua essenza più trascurata dall’arte ufficiale: i poveri, i pazzi, le loro passeggiate solitarie, la natura ammirata e intuita come segno di un amore che andava oltre apparenze, ricchezze materiali e titoli. Il giardino del manicomio non è solo un ornamento che circonda il triste destino degli ospiti, ma una sorta di richiamo, di anticipazione di quel paradiso perduto che Vincent aveva cercato prima nella predicazione e nell’insegnamento della fede, poi nella solidarietà con i lavoratori delle miniere e infine nel segno artistico.
Nonostante il suicidio, però, la sua arte continua a rappresentare un invito a camminare oltre le apparenze, ad accettare le sfide e a non arrendersi di fronte ad una sconfitta che potrebbe essere in realtà un momento di maturazione e una nuova tappa di cambiamento.
E non è un caso che la sua vita, la sua arte e la sua sensibilità abbiano continuato ad affascinare l’immaginario collettivo, perfino la musica che a torto continuiamo a chiamare leggera. Il cantautore Don McLean nel 1971 incise una canzone destinata a rimanere nella storia del costume: fin dal titolo, “Vincent” era un tributo ad un genio vissuto in solitudine e in povertà. Fu quel “Starry starry night”, notte stellata, a farci riflettere sul fatto che si trattava di van Gogh, in un testo che ancora oggi ci fa pensare a quanto siano vicini canzone e poesia:
Questo mondo non è mai stato abbastanza
per una persona così bella come te.