Oltre il tennis. L'arrivo di Fabio Fognini tra i primi dieci del mondo ci insegna molto, e non solo nello sport
La maturazione di un tennista talentuoso che per arrivare ai primi dieci del mondo si è sacrificato in duri allenamenti ci insegna molto.
Ci sono voluti quarantun anni. Ma il tennis italiano ce l’ha fatta. Dopo Corrado Barazzutti, settimo tennista nel mondo nel 1978, e, Adriano Panatta che è stato quarto nel 1976, se vogliamo restare nell’era computerizzata (prima Pietrangeli era stato n.3 tra il 1959 e il 1960), finalmente un tennista nostrano torna nel gotha del tennis. Ed è un evento anche extra-tennistico, perché ha a che fare con una serie importante di varianti, prima delle quali la difficoltà di fare strada in uno sport individuale nel quale le pressioni, psicologiche e mediatiche, sono fortissime. Non è un caso che Fogna 2, come si è autoproclamato lui stesso, a conferma di un cambiamento radicale, ora riesca a convivere con i momenti no, in cui tutto sembra andar storto, dal flash dello spettatore maleducato al lungolinea, che avrebbe potuto cambiare la partita, uscito di un nulla. Ha saputo lavorare su se stesso, con coach dapprima italiani, poi argentini e spagnoli (ma sotto lo sguardo vigile di capitan Barazzutti), che gli hanno insegnato a contenere i nervi e a lavorare sulla pazienza, l’attesa, la solidità. I due mondi del genio sregolato e del giocatore solido da fondocampo sono riusciti a incontrarsi, a creare di nuovo un tennis italiano doc, diverso da quello tutto fondo campo e fatica spagnolo, o da quello perennemente con il naso incollato alla rete inglese, per non parlare dei bombardieri americani che servono oltre i 200 orari.
Un evento che ci insegna molte cose: che si può lavorare su se stessi, che il talento può dotarsi di muscoli, e che il muscolare, al contrario, può lavorare sulla tecnica e sui colpi di fino. Fognini può bombardarti da fondocampo, o lasciarti di sasso con smorzate millimetriche o con improvvise discese a rete.
Il tennis è sempre più specchio di un mondo, perché è vero che Fognini “rischiava” di avere come maestro caratteriale McEnroe, che mandava a quel paese arbitri e avversari, ma è pure vero che ci sono stati – e ci sono – campioni di grande classe, anche umana, come Borg o Federer.
Non è solo tennis, e non è solo sport. Dovunque si cerchi non si troverà mai un modello unico in letteratura, nell’arte, nella musica. Nella vita, insomma. Il rissoso Caravaggio era stato preceduto dal contemplativo Leonardo, e al ragazzo vagabondo e fuori da ogni morale borghese Arthur Rimbaud (che scrisse i suoi capolavori tra i sedici e i diciassette anni) potremmo contrapporre il riflessivo, credente, Manzoni, che però ha lasciato un capolavoro ancora oggi testo obbligato a scuola. Ad un Mozart fanciullo prodigio inquieto e trasgressivo si contrappone la figura pacata di un Bach padre di famiglia e però, alla faccia di chi sostiene che i legami impediscono l’arte, padre pure nell’olimpo della musica. E visto che ci siamo, ricordiamoci che il Nobel ha consacrato come poeta il menestrello Bob Dylan, (con grande scorno dei tradizionalisti), ammesso nell’esclusivo club di gente come Tagore, Yeats, Pirandello o Thomas Mann.
La maturazione di un tennista talentuoso che per arrivare ai primi dieci del mondo si è sacrificato in duri allenamenti ci insegna molto. Che non si può puntare sul successo mediatico e basta, che lavorando umilmente si può ottenere molto dimostrando che la serietà ha ancora un posto, e che posto, al mondo.
Marco Testi