Media e disabilità. Gli autori Pixar raccontano la diversità delle loro famiglie
La celebre casa di produzione ha prodotto una serie di corti a basso budget, girati dai dipendenti dell’azienda sulla base di esperienze personali. Come “Loop”, storia di una ragazza autistica non verbale
“Perché non puoi essere normale?”. Queste parole irrompono in “Float”, cortometraggio di Bobby Rubio, che fa parte di Pixar SparkShorts, una serie di corti (disponibili su Disney+) a basso budget girati dai dipendenti Pixar e basati su esperienze personali. “Float”, per esempio, nasce dall’esperienza di Rubio ed è dedicata al figlio e “a tutte le famiglie con figli considerati diversi”. La storia è quella di un padre single che si rende conto della particolarità davvero singolare del suo bambino: è capace di fluttuare nell’aria. Quel papà ha paura del giudizio altrui, degli sguardi della gente, e allora prova a nascondere la sua peculiarità costringendo il piccolo a essere come tutti gli altri. Fino a che si rende conto che deve solo lasciarlo essere quello che è.
Come “Float” anche “Purl”, di Kristen Lester, è una metafora. La protagonista arriva in una start up piena di uomini in giacca e cravatta: solo che lei è… un gomitolo rosa! Viene subito emarginata, ovviamente, e trattata con sufficienza. È invisibile agli altri. Finché decide che quella lana sarà bianca e nera, come l’abito di quegli uomini, e che parlerà come loro. Ma vale la pena cambiare per essere accettati? “Purl” parla di diversità di genere, ma in fondo ogni diversità può riconoscersi in essa. Out, di Steven Clay Hunter, invece, racconta un momento ben preciso: quello in cui un ragazzo gay decide di fare coming out con la propria famiglia, e ci riesce grazie a una cagnolina e a un incantesimo. Ci sono poi due animali al centro di “Kitbull”, di Rosana Sullivan: un gattino randagio e un pitbull, resi nemici da un cortile, delle catene, da un filo spinato e da chi li ha messi lì. Il ramoscello d’ulivo, a volte, può essere un tappo di plastica con cui giocare. Spesso chi ci sembra diverso non lo è mai così tanto.
Sono tutte storie bellissime in cui la casa di animazione fa uso di metafore e simboli. Ma il corto che più colpisce è “Loop,” di Erica Milsom, in cui vediamo il primo personaggio autistico del mondo Pixar: una ragazza non verbale, con le sue paure e la sua sensibilità. Una storia diretta, forte, che presenta il primo personaggio autistico Pixar. È Renee, una ragazza non verbale, che condivide una giornata in canoa con Marcus, un ragazzo chiacchierone. Lei comunica solo con un’app del suo cellulare, una suoneria con un cane che abbaia. I due dovranno imparare a conoscersi, a guardare il mondo con gli occhi dell’altro, e a capirsi. La forza di “Loop” è il modo realistico con cui viene rappresentato l’autismo della protagonista. Assistiamo allora ai silenzi di Renee, ai suoi tentativi di esprimersi con i versi, alle sue paure, che non sono quelle di tutti: per esempio i rumori, per i quali ha una sensibilità diversa da quella degli altri. “Loop” è la storia di due giovani apparentemente lontanissimi che alla fine imparano a comunicare. Un film particolare, ma anche universale.
(L’articolo è tratto dal numero di luglio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)