Nessuna vita deve essere vuota. La speranza vista dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza

La speranza abita nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, ed è una speranza forte e indomita, dolce e profonda. Una speranza che non muore mai e che, anzi, cresce ogni giorno, nonostante tutto. È questo che emerge leggendo gli Orientamenti pastorali per il 2024-2025, resi noti a tutta la Famiglia Cottolenghina in occasione dell’inizio dell’anno del Giubileo

Nessuna vita deve essere vuota. La speranza vista dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza

La speranza abita nella Piccola Casa della Divina Provvidenza. Ed è una speranza forte e indomita, dolce e profonda. Una speranza che non muore mai e che, anzi, ogni giorno cresce, nonostante tutto. È tutto questo che si coglie leggendo gli Orientamenti pastorali per il 2024-2025 resi noti a tutta la Famiglia Cottolenghina qualche giorno fa in occasione dell’inizio dell’anno del Giubileo.
Speranza, dunque, che significa il soddisfacimento di quel “bisogno di orizzonti di senso per affrontare e vivere il quotidiano, soprattutto se difficile e faticoso” e cioè quel bisogno che è in tutti noi, dice al Sir padre Carmine Arice, superiore della Piccola Casa, che subito aggiunge: “Certo, questo non sminuisce l’importanza della salute fisica oppure di ricevere cure quando se ne ha bisogno. Significa, invece, raggiungere quella pienezza di vita in tutte le sue dimensioni, anche spirituale. E quindi di sguardi verso l’alto, verso orizzonti di bellezza, di verità, di libertà autentica, di carità operosa, di infinito e di gioia”.
Traguardi, quelli delineati da Arice, che appaiono spesso irraggiungibili nella quotidianità di tutti, figurarsi in un luogo di vita e sofferenza come sono le stanze del Cottolengo. Eppure, a sentire padre Carmine non è così. E lo si capisce bene percorrendo proprio quelle stesse stanze, pronti a confrontarsi con il bene che inesorabilmente vince il male.
Certo, la realtà è dura, dentro e fuori la Piccola Casa. È vero – sottolinea però padre Carmine – che la speranza è spesso minacciata e ferita, ma bisogna ricordarsi sempre che non esiste la disperazione ma esistono, e sono tante, le persone di-sperate. Esistono appena fuori la Piccola Casa, e dentro la Piccola Casa e in tutto il mondo e per cause innumerevoli”. E bisogna dirle queste cose, suggerisce la guida della Famiglia Cottolenghina, occorre avere il coraggio di denunciarle, di non stare zitti. Avere il coraggio di fare ciò che si può per contrastare questa di-sperazione. Padre Carmine riprende Francesco: “Oggi, come al tempo di Erode, le trame del male, che si oppongono alla luce divina, si muovono nell’ombra dell’ipocrisia e del nascondimento”.
Carmine Arice dice con chiarezza: “Che speranza ci può essere per tutti gli esseri umani che vivono una vita inchiodati su una sedia a rotelle o incapaci di proferire parola?”.
Già che speranza? E quale coraggio ci vuole per dare speranza a queste persone? E come fare? Certo, servono aiuti materiali, la carità, ma anche i piccoli gesti quotidiani, un sorriso, un segno di comprensione, un ascolto, uno sguardo attento, la gratuità di un servizio. Tutto parte dalla consapevolezza della dignità di ogni individuo. Quella dignità che deve essere riconosciuta e difesa. E che nella Piccola Casa trova realizzazione. “La Piccola Casa, nel suo quotidiano e silenzioso servizio alle persone più fragili, con le sue presenze sparse nel mondo in contesti sociali difficili è opera di speranza, che accende luci, magari piccole, ma assolutamente necessarie per la guarigione di un corpo sociale malato”, spiega Arice. Si tratta di qualcosa che è un cammino, che si fa ogni giorno, tra alti e bassi, tra apparenti sconfitte e con la consapevolezza di tutta la fragilità dell’essere umano. Per questo è una speranza che vive in un presente faticoso quella del Cottolengo “ma d’altra parte di tutta l’umanità. Non c’è niente di idilliaco in quello che è la Piccola Casa oppure in giro per il mondo”, precisa ancora padre Carmine.
Ma se anche la speranza è fatica, perché continuare a viverla? “Perché sappiamo che la nostra vita non finisce nel vuoto e perché nessuna vita deve essere vuota”, dice forte il superiore del Cottolengo che poi conclude: “La Piccola Casa è segno di speranza per ammalati, anziani, persone con disabilità, carcerati e poveri, immigrati, bambini, adolescenti e giovani, mamme e papà in difficoltà, anziani e persone che sono al tramonto della loro vita… Nella Piccola Casa questi amici non sono numeri, non sono nemmeno appartenenti ad una categoria di una qualche fragilità, ma persone, storie, compagni di viaggio e cuori che attendono di essere amati e che desiderano amare”.

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Fonte: Sir