La lettera di Gino Bartali al figlio pubblicata sulla Gazzetta dello sport. La montagna dalle strade sbilenche
Nel luglio 1948 la “rosa” pubblica una lettera che il campione scrive a suo figlio Andrea (che all’epoca aveva 6 anni). Bartali è a Parigi, ha appena vinto per la seconda volta il Tour de France.
Molti giovani alle prese quest’anno con gli esami di maturità hanno incontrato e raccontato nella prova di italiano Gino Bartali, il “re della montagna”, il “Giusto tra le Nazioni”.
“Oh, quanta strada nei miei sandali – cantava Paolo Conte – quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita”. E di strada il campione toscano ne ha macinata tanta, mettendo le sue due ruote a disposizione degli altri, degli ultimi e dei perseguitati. Anche a rischio della sua vita.
In questi giorni sui banchi di scuola abbiamo riscoperto Bartali il “Giusto tra le Nazioni”, l’eroe in bicicletta.
Il suo lato più familiare, quello di papà, lo troviamo su Facebook. A farcelo conoscere è il figlio Andrea Bartali (1942-2013). In un post pubblicato il 3 febbraio 2014 condivide in rete un ritaglio ingiallito della Gazzetta dello Sport.
Nel luglio 1948 la “rosa” pubblica una lettera che il campione scrive a suo figlio Andrea (che all’epoca aveva 6 anni). Bartali è a Parigi, ha appena vinto per la seconda volta il Tour de France. La prima era stato esattamente dieci anni prima, nel 1938. Ma questa era una vittoria “speciale”: molti sostengono che il successo del fiorentino contribuì ad allentare il clima di tensione in Italia dopo l’attentato a Palmiro Togliatti del 14 luglio 1948. Leggendaria in particolare la sua fuga sulle Alpi che gli permise di vincere la Cannes-Briançon, attraverso il colle d’Allos, il colle di Vars e il colle dell’Izoard, recuperando gli oltre venti minuti di svantaggio che lo separavano dalla maglia gialla Louison Bobet.
Il campione italiano è cinto d’assedio da giornalisti e fotografi. La folla lo acclama, ma lui non si fa “stordire dalle lodi”. Si mette a tavolino, prende carta e penna e scrive al figlio. Gli racconta la vita attraverso quelle due ruote che lo avevano accompagnato (e lo accompagneranno) in tutte le tappe della sua esistenza. Gli racconta le gioie, non gli nasconde le fatiche. Lui, che aveva appena trionfato al Tour, non dimentica la pesante sconfitta subita due anni prima al giro d’Italia, quando sul Falzarego l’amico-rivale Fausto Coppi lo aveva surclassato.
“L’Izoard è la montagna dalle strade sbilenche e ruvide, dove le pietre, la neve, il fango sono il testamento di tutti i dolori degli atleti di bicicletta. Corsi dieci anni fa su quell’Izoard, passai primo e solo: gli avversari mi cercavano, disperatamente mi volevano e io fuggivo leggero davanti a loro. Come dieci anni fa ero il primo sulla più aspra e maledetta rampa degli scalatori. Dieci anni e tanti faticosi chilometri hanno traversato da allora le mie gambe. (…) Guardo le fotografie di allora, un giallastro velo sottile le ha ricoperte: non così dura e netta era a quel tempo la mia bocca, i miei occhi erano infossati e più fresca la cadenza del mio sorriso. Oh sì, qualcosa è cambiato anche se le vittorie continuano: lo sento dentro di me che stride piano come la sabbia calpestata da un piede leggero; allora non avevo lettere da dedicarti, una maglia gialla da dedicarti, qualche sconfitta da dimenticare. Ah l’ossessione di quel corridoio azzurro sul Falzarego, l’amaro di quella salita senza fine, il disagio sottile per quelle occhiate sfuggenti che mi imbrattavano di una compassione che non era mia, di una delusione nostalgica che però non era la mia. Ecco Andrea, io vinco ancora le corse e questo di certo ti farà felice. Oggi a Parigi tutto è diverso da quella sera a Trieste, è questa la ragione per cui ho voluto scriverti ancora (…)”.
“Falzarego e Izoard. Un giorno anche tu li conoscerai, ma poiché mai i padri augurano ai figli la loro professione, spero non ci salirai in bicicletta. Ci andremo in macchina insieme e là ti spiegherò: Ecco, vedi, qui un giorno le gambe mi si affiacchirono e la folla mi accolse con una scrollata di spalle; qui invece ero saldo e forte e la folla urlava il suo entusiasmo”.
“Ti narrerò sottovoce la storia di tante deluse fatiche e sogni raggiunti. Alla cima di una di quelle terribili erte ci fermeremo a guardare di sotto i ripidi e convulsi tornanti della strada. A lungo guarderemo in silenzio il mio feudo di gloria e di amarezza: poi all’improvviso con tutti i ricordi negli occhi ci sorrideremo. Sarà quella gita in macchina l’ultima scalata di Gino Bartali “re della montagna”, la più difficile e la più bella. Poi sarà ormai tempo che incominci la tua storia. Il tuo papà Gino”.
Irene Argentiero