Itinerari. Da Cittadella a Campese. Piccoli gioielli seguendo le mura di Cittadella e il fiume Brenta

Quinta tappa degli itinerari tra “pietre e fede”. Abbiamo fatto il nostro ingresso a Padova città per scoprire il reticolo capillare di luoghi di fede che ancora oggi vive, seppur sotto mentite spoglie. Ora tocca alla zona dell’Alta Padovana, fra Cittadella e Campese.

Itinerari. Da Cittadella a Campese. Piccoli gioielli seguendo le mura di Cittadella e il fiume Brenta

Chi dalla pianura punta ai monti s’immerge in una contraddizione, una sfida ai luoghi comuni. «Il progresso – si dice – è figlio delle strade», senza comunicazione, rapida, veloce, agevole, non c’è possibilità di sviluppo; eppure, poche aree come la Pedemontana veneta sono così povere di reti, di collegamenti (in attesa del completamento della tanto discussa superstrada); nonostante ciò, a ridosso dell’Altopiano o delle Prealpi, nelle piane ai margini della Lessinia e fino al Garda, il benessere è pane quotidiano. Una miriade di aziende, prevalentemente medie e piccole, con il corollario di capannoni, prefabbricati, cantine e pertinenze adattate, che negli ultimi decenni ha travolto il territorio e stravolto il paesaggio, ma garantito Pil e presunta qualità della vita; il frutto ambientale dell’industriosa opera dei metalmezzadri è tangibile, godibile (?) agli occhi, fruibile, nonostante la quotidiana fatica di muoversi, trasportare, scambiare. Il viaggiare carrabile, nell’Alta Padovana come nelle colline vicentine, è un tormento; a meno che non si ricorra alle ampie strade a pagamento, che però allungano le distanze e mortificano lo sguardo. Al visitatore curioso non rimane che la pazienza, pagando pegno; la contropartita non è affatto svantaggiosa: scorci mutevoli, variazioni, sorprese, scoperte, tutto quello che bisogna cercare e vedere nei rivoli e tra le pagine di una storia assopita anche se non ancora spenta.

Sulla via delle mura
Dopo Padova, guardando i monti, sta Cittadella con le sue mura: senza fretta, perché il bello comincia prima, già sulla via. All’epoca della costruzione, il Brenta correva ad appena qualche centinaio di metri e, nella campagna retrostante, probabilmente esistevano ancora le rimanenze del vecchio e fatiscente castello romano sulla Mota de Pain, abbattuto dai Padovani (1200) proprio per fortificare Cittadella. La prima notizia dell’esistenza di un convento dedicato a san Francesco, gestito dai Conventuali a Curtarolo, si trova in un testamento del 1238. Posto strategico, vicino a una fortificazione; fin dall’inizio il chiostro ebbe costante incremento di patrimonio, che consentiva la presenza di un discreto numero di frati; ridottasi la quantità dei religiosi (già nel Cinquecento erano soltanto due), un lento, inesorabile, declino; un paio di secoli dopo, il fabbricato era ormai rovinato e cadente; l’oratorio del convento, quest’ultimo soppresso nel 1806, divenne una piccola abside, mentre il resto fu adattato a casa colonica. Sempre a Curtarolo (la località però è ignota) vivevano pure i Camaldolesi; la piccola comunità di Sant’Andrea era legata all’abbazia di Carceri d’Este, quindi, allorché il grande cenobio della Bassa Padovana seguì la Regola di Romualdo (1408), anche quello di Curtarolo si adeguò. Fu il vescovo Gregorio Barbarigo (1670) a chiudere questa esperienza, trasferendo i beni al seminario di Padova. Per mettere radici nell’Alta Padovana, le Benedettine avevano scelto, fin dai primi decenni del Duecento (la data non è certa), quello che ora è il centro di Campo San Martino. Alla fine del XIII secolo (1296), il vescovo Giovanni decise di unire la comunità di San Lorenzo a quella di San Bernardo di Padova, transitandola (1451) nell’Ordine dei Certosini, che qui si trasferirono quando la loro dimora cittadina fu distrutta dal guasto. Finì tutto, senza lasciare tracce, con la soppressione veneziana del 1768.

Dentro la cinta di Cittadella
Il monastero di Santa Maria Assunta di Campo Santo, con annessa chiesa dell’Annunziata, fu il primo che nacque a Cittadella; sorse in borgo Bassano, già nel 1261, sede delle Benedettine, che qui rimasero sino al 1429, momento in cui, visto che ormai le religiose erano soltanto un paio, il Consiglio cittadino decise di affidare tutto agli Eremiti di Sant’Agostino, aggregati a Santa Maria di Monte Ortone; allora il cenobio era in quasi totale abbandono; grazie all’intervento di fra Simone da Camerino, fu restaurato. Confiscato (1797), dopo la parentesi austriaca, con il ritorno dei francesi, soppresso definitivamente (1810); in seguito utilizzato come ospedale militare e caserma. Dopo vari cambi di proprietà e destinazioni d’uso, ai primi del Novecento l’antico chiostro per testamento andò alla locale casa di ricovero; ora vi sono due edifici destinati a ospitare anziani e bambini: a testimonianza del passato rimane soltanto la facciata di un oratorio. È una delle parrocchie di Cittadella, a momentanea conclusione di una storia secolare. Il convento di San Francesco, in Borgo Trevisan, fu costruito (1481) per iniziativa di Paolo Brianato e consegnato dalla comunità locale ai Minori; agli inizi del Cinquecento, causa la guerra della Lega di Cambrai, i frati lo abbandonarono (1513), tornando dopo qualche anno e impegnandosi nella riedificazione. Ritenendo Cittadella troppo aggravata da due comunità (c’era pure quella di Santa Croce Bigolina), gli Osservanti se ne partirono, successivamente per qualche tempo giunsero i Conventuali. Nel 1629 il Comune cedette San Francesco alla Provincia Riformata (1632), cancellato (1806), finì in proprietà del municipio; da allora servì a diversi usi; durante l’ultima guerra mondiale, alcuni Minori, costretti a lasciare le loro sedi, cominciarono di nuovo ad abitarlo: nel 1987 il convento venne totalmente ristrutturato e riportato alle sue linee originali. Messa in piedi la chiesa dedicata alla Santa Croce, in località Bigolina, il cavaliere Battista (Bigolino), «uomo pio», fece edificare accanto (1460) un convento che donò ai Minori dell’Osservanza. Il luogo assunse presto manifesta importanza, tra l’altro furono proprio alcuni Zoccolanti di Santa Croce ad abitare per primi San Francesco di Cittadella; nel Cinquecento, la vicinanza tra i due presìdi francescani ne mise in discussione la sopravvivenza, così il Capitolo provinciale decise (1546) che fosse quello della città murata a cedere il passo a Santa Croce. Quest’ultimo fu abitato, fino ai primi anni del Seicento, da una decina di frati. Chiuso dai veneziani (1769), il chiostro terminò la sua secolare storia passando attraverso più proprietà private; ora rimane solo il corpo centrale e una piccola parte del cortile. Furono alcuni cittadini a chiedere (1624) alla Serenissima che a Cittadella potessero trovare spazio le Cappuccine. Il motivo di tale istanza non era né nobile, né originale: poter sistemare alcune figliole, che altrimenti avrebbero dovuto andare ospiti in altre clausure fuori paese e decisamente più costose. Le Francescane invece non avevano grandi pretese ed erano disponibili a trasferirsi tra le mura; il posto di accoglienza fu identificato in una casa in Borgo Padova e non ci volle molto per attrezzarlo, finalmente (1672) le Riformate di San Bonaventura, spiritualmente legate all’omonimo monastero di Padova, ottennero le necessarie autorizzazioni. L’esperienza durò sino al 1810, quando la confisca costrinse le consacrate a disperdersi; una di queste, la trentacinquenne Maria Redenta Olivieri, si trasferì a Vicenza divenendo stretta collaboratrice del vescovo Giovanni Antonio Farina nella fondazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea; una circostanza che in qualche modo garantì la continuità del vecchio convento delle Cappuccine: lo stabile infatti fu acquistato (1846) dal presule della città berica per «farne un istituto per l’edificazione dei fanciulli», gestito dalla Congregazione delle Dorotee. Già prima del 1439, in Borgo Padova, abitavano i Carmelitani, in una clausura con la chiesa intitolata a Santa Maria della Disciplina o del Carmine, annesso anche un ospizio per viandanti e infermi, che più tardi diventò il primo ospedale di Cittadella. Quando, intorno al 1650, i frati dovettero abbandonare, forse per “carenza di personale”, la gestione dell’hospitium passò alla Fraglia di Santa Maria della Disciplina; tale situazione proseguì durante il secolo seguente, fino all’avvento di Napoleone che soppresse l’associazione: la chiesa finì in possesso della famiglia De Rossi (detti Pase) e nel volgere di qualche decennio il luogo cadde in abbandono, soltanto verso la fine dell’Ottocento l’edificio fu restaurato e riaperto. Santa Lucia in Brenta, a Santa Croce Bigolina, tra Cittadella e Fontaniva, è soprattutto un equivoco: per molto tempo gli storici hanno scambiato il piccolo cenobio con quello di Santa Lucia di Piave, nel Trevigiano, attribuendo a quest’ultimo un legame con l’abbazia francese di Cluny, che invece, come ha spiegato Pier Angelo Passolunghi, apparteneva alla Santa Lucia padovana, frutto di un atto della famiglia Fontaniva, che nel 1122 aveva legato il chiostro di casa a quello francese.

L’imitazione di Cluny
A questo punto, ripercorsi i luoghi, le strade e la storia di Cittadella, non rimane che guardare oltre, verso i monti e puntare su Bassano. Vale la pena di partire dalla periferia, da una frazione del luogo che si apre alla Valsugana, per raccontare una delle più straordinarie vicende di queste parti. Chissà come mai il monaco Ponzio finì a Bassano? Non era un benedettino qualsiasi: giovane abate (1109) della prestigiosa abbazia francese di Cluny, dove all’inizio sembrava che la sua guida fosse sicura, energica, efficiente; ma presto il malcontento, in quel sontuoso cenobio talora simile a un “covo di vipere” e all’esterno, tra vescovi e signori, era cresciuto divenendo fuori controllo. Ponzio non ce la faceva proprio più, così decise di andare a Roma per confrontarsi con il papa; il quale non pare abbia dato risposte, prendendo tempo, invitando l’abate a fare altrettanto, anzi «perché non approfittare del momento, dell’opportunità di una pausa, per un bel viaggio in Terra Santa?». Il Benedettino partì verso la Palestina e durante il soggiorno nei luoghi di Gesù venne a sapere che il pontefice aveva contribuito a sostituirlo alla guida di Cluny; Ponzio pensò di non accettare la scelta romana, poi capì che non sarebbe servito a nulla recarsi ancora da Callisto II e risalì lentamente la penisola; giunse nel Vicentino e si convinse che da queste parti poteva trovare il luogo adatto per ricominciare. In fondo, Bassano era appartato ma non estraneo, fuori mano senza essere isolato; oltretutto i feudatari del posto, i vari da Romano, da Camposampiero, da Baone, erano disponibili a dargli una mano; quell’angolo di terra pareva proprio andare bene: la gente indigena lo chiamava un po’ alla tedesca, Kan Pie cioè Ai Prati, o alla cimbra, Kan Wisen, e stava a Campese, appena dentro il Canale di Brenta. Qualche difficoltà burocratica in merito all’acquisizione dei terreni, un accordo con l’abate Uberto di San Floriano, nella zona di Marostica, e intorno al 1124 si poté procedere alla messa in opera del nuovo chiostro, dedicato alla Santa Croce: una porzione di Cluny in terra vicentina. Ponzio dette subito segnali di vitalità: tanto per cominciare cambiò il nome della località, che da Campese diventò Camposion o meglio Campo di Syon, termine evocativo di quella Terra Santa da cui era partito per il viaggio che lo aveva portato in questo lembo di Veneto; ma evidentemente nel suo cuore la vallata e l’eremo, che stavano crescendo per numero di presenze e possedimenti, erano soltanto una pausa, perché il pensiero dominante stava ancora nell’esuberante monastero francese, dove malumori e discordie continuavano a dominare. Infatti, nel 1125, l’ex abate scelse di tornare in Francia: fu per lui l’inizio di un declino inarrestabile, che si concluse con la scomunica e la morte in carcere (1126); l’anno dopo (1127), il cenobio di Campese finì alle dipendenze di quello mantovano di Polirone, con il quale da quel momento condivise la sorte, fino alla soppressione del 1796. La storia del cenobio di Campese, nella sua fase d’avvio, si intersecò con quella di un altro luogo benedettino, poco lontano, nella vicina Marostica; qui infatti, probabilmente già prima del Mille, esisteva una comunità, che permutò (1124) alcuni terreni con quella nascente a Bassano. Il monastero stava in Valle San Floriano e fin dal XII secolo ebbe funzioni di centro pievano, passò in commenda (1402) a Bernardo, monaco di Santa Maria in Vanzo di Padova; qualche anno dopo (1455) fu unito a Sant’Eufemia di Villanova; la chiesa, da secoli, continua a essere la parrocchiale.

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