"Il lavoro sociale deve farsi politico contro l’aumento di vulnerabilità e disuguaglianze”
“Su la testa” è una rete di cooperative sociali che collaborano con o che sono promosse dalle Acli, una rete che ha affrontato molti degli aspetti drammatici di questi due anni di crisi pandemica e che il 30 giugno a Milano riparte con una ricerca e con un appuntamento intitolato “Il lavoro sociale è politico”
“Su la testa” è una rete di cooperative sociali che collaborano con o che sono promosse dalle Acli, una rete che ha affrontato molti degli aspetti drammatici di questi due anni di crisi pandemica e che il 30 giugno a Milano riparte con una ricerca e con un appuntamento intitolato “Il lavoro sociale è politico”.
La politica intesa non come un farsi corrente di qualcuno, ma come il "sortirne insieme" di Don Milani. Oggi lavoro sociale significa organizzare i diritti e, nel contempo, organizzare i territori, convocare le comunità al lavoro, riscattare quella prospettiva di libertà e giustizia sociale che anima la nostra Costituzione.
Il sociale e il lavoro sociale, rischiano però, nonostante le risorse e i piani del Pnrr, di essere ancora una volta un mancato investimento, un insieme di buone intenzioni da tirare fuori solo in una dimensione emergenziale, perché la politica non riesce a capire che l'infrastruttura sociale è una missione, è un asse strategico dello sviluppo, senza il quale anche sfide fondamentali come la transizione digitale rischiano di acuire le distanze e le diseguaglianze tra i cittadini. Ma l'emergenza, lo scarto di persone e popoli, non deve essere la norma. Non si è ancora compreso del tutto che l'esplosione delle diseguaglianze e il trionfo della greed economy (l'economia dell'avidità), che accentra la maggior parte della ricchezza nelle mani di una strettissima élite di turbo miliardari, spesso al di sopra delle regole (comprese quelle di una concorrenza che dovrebbe essere alla pari), reclamano radicalmente un'altra idea di sviluppo. Lo sviluppo, soprattutto se sostenibile, o sarà sociale o non sarà; il futuro, innanzitutto civile, o sarà sociale o non sarà.
Accelerazioni ed esasperazioni pandemiche e l'entrata ormai definitiva nella tragica guerra mondiale a pezzi, da anni denunciata da Papa Francesco, dettano un irreversibile aumento delle vulnerabilità e delle disuguaglianze, un impoverimento del lavoro, un forte stress sui sistemi di welfare già sotto pressione, un inasprimento del clima sociale e un’ulteriore spaccatura della società civile, che è il rischio nascosto dei sistemi democratici. “A simili questioni non è più possibile dare risposte puramente tecniche, circoscritte, limitate, prestazionali, efficientiste. Non sono questioni da gestire come dei bravi manager, ma sono, appunto, problemi da trasformare, riarticolare, rideclinare, cambiare, esattamente come da trasformare sono oggi le nostre organizzazioni, i nostri ruoli e competenze, i nostri servizi, le nostre reti, le nostre alleanze, la nostra azione sociale” dice il finale della nostra ricerca.
Ovviamente questo non significa fuggire da una logica di impresa per tornare a un’idea di totale dipendenza dagli enti pubblici e dallo Stato, ma vuol dire che è tempo di recuperare il senso dell’imprenditorialità sociale come forza di trasformazione, come esperienza di lotta per la libertà e la giustizia sociale.
La strategia condivisa dal lavoro svolto come “Su la testa” ci sembra resti un punto di riferimento utile a mettere insieme e armonizzare più fronti di lavoro e di attivazione di risorse: comunità da convocare, istituzioni da ricapacitare, mercati da creare, mutualità e professionalità da rivalorizzare.
Ma, soprattutto oggi che povertà, diseguaglianze e vulnerabilità toccano strutturalmente nel profondo lo stesso lavoro sociale, e non solo, le tante fragilità sociali di cui da sempre si occupa, questi fronti chiedono più agire politico.
Una rinnovata capacità di animare e organizzare i territori partendo dalla co-programmazione, deve sposarsi con una nuova capacità di rappresentare e dare voce ai diritti delle persone e del lavoro, compreso quello sociale, sempre più anch'esso a rischio di impoverimento.
Se anche in termini di risorse e di potere non si bloccherà la sempre più forte concentrazione di ricchezza e peso decisionale, e se, nello stesso tempo, il sociale non diventerà priorità, la democrazia vedrà i propri fondamenti sociali erodersi progressivamente. Al futuro serve un'altra ricchezza, una ricchezza sociale, ovvero una ricchezza guadagnata e costruita insieme, e non "speculata".
di Stefano Tassinari, vicepresidente vicario Acli nazionali