Fugge dal policlinico Gemelli e poi muore. “Alzheimer in ospedale, mai più soli”
Mentre si apre l'indagine per abbandono di incapace aggravato, “è urgente rilanciare il Dpcm di marzo 2021, che assicura ai caregiver familiari il diritto di rimanere accanto al proprio caro in ospedale”. Policlinico Gemelli: “Il nostro protocollo lo prevede”. Federazione Alzheimer Italia: “Istituzioni vigilino perché i pazienti con Alzheimer non siano mai soli”. Berliri: “Rilanciare diritti della persona disabile in ospedale”
Giovanni Manna aveva l'Alzheimer: trasportato con l'ambulanza al policlinico Gemelli per un malore, è rimasto da solo per più di un'ora, poi si è allontanato e ha fatto perdere le tracce. Quattro giorni dopo è stato ritrovato senza vita, a diversi chilometri dall'ospedale. Chi siano i responsabili della tragedia, lo stabilirà l'inchiesta che è stata aperta: si indaga per reato di abbandono di persona incapace aggravato. Una cosa però è certa: uno dei suoi familiari avrebbe avuto il diritto di stare accanto a lui. Lo conferma il Policlinico Gemelli, ribadendo quindi quel passo in avanti fondamentale che è stato compiuto nel marzo del 2021, quando il Dpcm ha riconosciuto al caregiver familiare la possibilità di assistere il proprio caro con disabilità in ospedale, anche in piena pandemia. Una norma recepita appunto nel protocollo vigente dello stesso policlinico: "Nel pieno della pandemia Covid 19, il Gemelli attraverso una rimodulazione dei percorsi di accesso al Pronto Soccorso, assicura la presenza del caregiver/familiare di fiducia delle persone fragilissime negli ambienti di Pronto Soccorso riservati a pazienti senza sospetto di Covid 19, offrendo l'esecuzione gratuita del tampone antigenico rapido con risposta a 35 minuti, funzionale a garantire l'accesso in sicurezza del care-giver”.
Cosa non abbia funzionato, perché quel diritto non sia stato esercitato, lo stabiliranno i giudici: quel che è certo è che “la tragica vicenda riapre un capitolo che si sperava chiuso con quel Dpcm, che sancisce il diritto della persona disabile ad essere accompagnata in ogni passaggio ospedaliero, sia esso un esame di diagnostica, un intervento di pronto soccorso, un ricovero o una degenza – commenta Irene Gironi Carnevale, caregiver attenta a tutte le questioni che riguardano disabilità e assistenza - Invece a oggi, e la tragica vicenda ne è la conferma, i familiari di persone disabili non sanno che è possibile andare con loro e le strutture ospedaliere o non sono state informate oppure fingono di non sapere, altrimenti la persona al pronto soccorso del Gemelli avrebbe avuto accanto qualcuno che lo conosceva e che non lo avrebbe lasciato solo. Credo sia indispensabile fare una massiccia campagna di informazione, sia presso le famiglie e le associazioni che si occupano di disabilità, sia attraverso le Asl e tutti i canali istituzionali, Municipi, regioni, ministero della Salute affinché tutti siano messi al corrente”.
Redattore Sociale raccoglie e fa suo questo appello, rilanciando innanzitutto i contenuti del Dpcm 2 marzo 2021 (comma 5 dell'articolo 11): “È fatto divieto agli accompagnatori dei pazienti di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione e dei pronto soccorso (DEA/PS), salve specifiche diverse indicazioni del personale sanitario preposto”, si legge nel testo, che però introduce una importante “eccezione per gli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, che possono altresì prestare assistenza anche nel reparto di degenza nel rispetto delle indicazioni del direttore sanitario della struttura”.
Un passo avanti importante, che come tale era stato salutato anche del ministro per le Disabilità Erika Stefani, che oggi deve essere rilanciato ,affinché tutti i caregiver ne siano a conoscenza e tutte le strutture sanitarie lo riconoscano.
Un appello che la Federazione Alzheimer Italia, interpellata da Redattore Sociale, condivide con forza: “La Carta dei diritti delle persone con demenza, redatta dalla nostra federazione oltre venti anni fa, afferma tra le altre cose che la persona con demenza deve avere il diritto ad accedere ai servizi sanitari al pari di ogni altro cittadino – ricorda la presidente Gabriella Salvini Porro - Ciò significa che questi servizi devono prestare attenzione alle esigenze specifiche di chi ha la demenza, anche in un periodo di emergenza sanitaria come questo. Per questi malati, infatti salire su un'ambulanza, accedere a un pronto soccorso o a un ospedale può essere un’esperienza disorientante e spaventosa che dovrebbe sempre essere affrontata con un familiare o un caregiver a fianco, che possa non solo controllarli ma anche rassicurarli e fare in modo che il tempo trascorso in ospedale sia il meno traumatico possibile. Per questo chiediamo alle istituzioni di vigilare perché in ogni struttura sanitaria siano garantite alle persone con demenza l’assistenza e la tutela necessarie e si faccia in modo che casi come questi non si verifichino mai più”.
Torna a chiederlo anche Luigi Vittorio Berliri, presidente di Spes contra Spem, tra i promotori della Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale, che ha iniziato a vedere la luce nel 2006 ed è stata diffusa a livello nazionale nel 2014. “Questo tristissimo episodio mette in luce, in modo 'lampante' come sia non solo necessario ma direi obbligatorio prevedere un caregiver di fianco a persone fragili. È quello che con la carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale la cooperativa Spes contra Spem dice da tempo. Ricordo che la carta fu presentata e adottata proprio per primo dall'Ospedale Gemelli. Ora la magistratura chiarirà cosa è successo. Di certo il lavoro dell'informazione si rivela fondamentale (e basta un click per ricostruire quanta, su questo argomento, ne abbia fatta Redattore Sociale), ma non basta ancora: occorre sensibilizzare sul tema da un lato i decisori politici (affinché si costruiscano percorsi ad hoc, come Asmed fa in tutta Italia con il progetto 'Dama') dall'altro i tanti sanitari. Mi chiedo: chi era in quella ambulanza conosceva i diritti delle persone più fragili in ospedale?”
Chiara Ludovisi