Fragilità perinatale. Noia: “Il nostro scopo è servire”
Un abbraccio totale, che non trascura la dimensione spirituale e solidale, alle famiglie che affrontano capitoli drammatici, come la malattia o la morte di un figlio. La Fondazione “Il Cuore in una Goccia”, nata nove anni fa, propone ai genitori le cure scientifiche di altissimo livello, tramite l’attività dell’Hospice perinatale-Centro per le cure palliative prenatali e postnatali “Santa Madre Teresa di Calcutta” del Policlinico universitario A. Gemelli di Roma, la condivisione e la solidarietà ad altre famiglie che vivono o hanno vissuto lo stesso momento di fragilità
Un abbraccio totale, che non trascura la dimensione spirituale e solidale, alle famiglie che affrontano capitoli drammatici, come la malattia o la morte di un figlio. La Fondazione “Il Cuore in una Goccia”, nata nove anni fa, propone ai genitori le cure scientifiche di altissimo livello, tramite l’attività dell’Hospice perinatale-Centro per le cure palliative prenatali e postnatali “Santa Madre Teresa di Calcutta” del Policlinico universitario A. Gemelli di Roma, la condivisione e la solidarietà ad altre famiglie che vivono o hanno vissuto lo stesso momento di fragilità. Al Sir Pino Noia, presidente della Fondazione e direttore dell’Hospice, spiega del nuovo approccio alla gravidanza patologica e le finalità dell’organizzazione che, sabato 16 e domenica 17 novembre, organizza a Roma il VII incontro nazionale per promuovere le attività e le tante testimonianze delle persone accolte negli anni. “Avevamo bisogno – afferma – di una realtà che abbracciasse un tracciato umano difficile ma possibile, per far in modo che le persone, sebbene fosse cambiato il progetto genitoriale, continuassero ad amare”.
Professore, perché è nata la Fondazione?
La Fondazione ha dato negli anni prelazione alla scienza, alle informazioni corrette, promuovendo nell’Hospice–Centro per le cure palliative prenatali e postnatali “Santa Madre Teresa di Calcutta”, una risposta nuova alla diagnosi perinatale.
Non facciamo guerre di fondamentalismo, non puntiamo il dito contro nessuno, ma offriamo una risposta scientifica, affiancata all’elemento di condivisione con le famiglie. La Fondazione abbraccia tre aspetti: scientifico, offerto dall’Hospice di cui sono responsabile, familiare-testimoniale, guidato da Anna Luisa La Teano, e spirituale-caritativo, curato da Angela Bozzo.
Fra i passi più importanti, ricordo il riconoscimento ufficiale del team di medici che offre la propria competenza alle famiglie che hanno scelto di non fare l’interruzione di gravidanza, di accompagnare i loro figli e curarli finché possibile nel momento prenatale o postnatale. Nel 2019, la Fondazione è stata poi accreditata all’interno del Policlinico Gemelli; è nato così un nuovo modello di hospice perinatale, mentre nel 2022 si è proceduto all’estensione del percorso di assistenza alle patologie gravi per le quali c’è tanta angoscia, ignoranza e paura. Il Policlinico è il primo in Europa a fare un percorso clinico-assistenziale di questo tipo per le fragilità prenatali.
A quali bisogni cercate di rispondere?
Il nostro scopo è servire.
Nel corso degli anni ci siamo resi conto che la risposta scientifica, anche di alto livello, non potesse essere sterile e fredda verso le famiglie che affrontano la fragilità. Avevamo bisogno di una realtà che abbracciasse un tracciato umano difficile ma possibile, per far in modo che le persone, sebbene fosse cambiato il progetto genitoriale, continuassero ad amare. Ciò, in termini di riporto sulla funzione procreativa della coppia, è importante perché l’elaborazione del lutto, nella consapevolezza di aver amato il proprio figlio fino alla fine, cambia completamente la predisposizione e l’apertura alla vita. Stiamo sviluppando un nuovo modo di concepire l’hospice, che non va inteso come un luogo di morte perché il 40% dei bambini viene curato in utero con ottimi risultati, con un modello organizzativo che prevede l’abbraccio della famiglia e, alla fine del settimo mese, il documento condiviso per cui si riuniscono gli esperti ed esprimere tre end point: il momento del parto, la modalità e il tipo di assistenza post natale. Con questo, non vogliamo fare accanimento terapeutico, ma scegliere le modalità di intervento sul piano scientifico etico e spirituale. Si tratta di un nuovo approccio alla gravidanza patologica.
La stessa legge 194 all’articolo 5 dice espressamente che bisogna dare un’alternativa all’interruzione di gravidanza e noi lo abbiamo fatto per più di 2.000 persone negli ultimi 15 anni.
Perché l’Hospice è intitolato a Santa Madre Teresa di Calcutta?
Nel dicembre 1981 Santa Madre Teresa venne a ritirare la laurea honoris causa al Policlinico e in quell’occasione fece un appello ai clinici dicendo che se ci fosse stata una donna che non voleva il suo bambino lo avrebbe preso lei.
In quegli anni, si parlava molto della legge per l’interruzione di gravidanza. Il mondo cattolico italiano venne così a conoscenza della nostra realtà che allora in day hospital accoglieva le fragilità perinatali e anche le ragazze madri. Osservavamo moltissime condizioni complicate, fra cui malformazioni e situazioni a rischio di malattie infettive, e in breve siamo diventati un hub per quei casi che in altri contesti venivano scartati.
In quegli anni i numeri delle interruzioni di gravidanza erano molto più elevati rispetto ad oggi.
Quelli furono gli anni in cui si raggiunse il massimo livello. La diminuzione che si osserva oggi è dovuta a più fattori, come la diminuzione della natalità e della fecondità femminile, e non va quindi ridotta alle scelte compiute dalle persone. Gli aborti eugenetici, impropriamente chiamati terapeutici, sono però aumentati 12 volte. Si è passati dallo 0,5% del 1981 al 6,5% del 2021. Il motivo selettivo è andato quindi aumentando. Negli ultimi 15 anni, grazie anche all’avvento delle tecniche di diagnosi prenatale non invasive, il 90% delle donne richiede il prelievo ematico del feto per gli esami cromosomici. Pochi specialisti, però, quando consegnano il responso di diagnosi di sindrome di Down, si soffermano sul fatto che anche un cromosoma in più può essere accolto.
Se la famiglia non viene aiutata e sostenuta ad affrontare la pressione sociale e la paura del futuro, viene lasciata sola.
La Fondazione fa anche formazione e ricerca?
L’anno scorso abbiamo svolto il settimo corso di formazione affinché i volontari siano altamente capaci di accudire le famiglie. Con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul piano della ricerca, la Fondazione ha promosso due progetti per la sindrome di Down: uno sta per essere terminato ed è dedicato a osservare le cause e l’altro ancora in corso che cerca di diminuire il danno neuro cognitivo tramite delle molecole somministrate alla madre che attraversano la placenta. Inoltre assegniamo dei premi alle tesi dei giovani che approfondiscono il tema della fragilità perinatale.
Il modello sviluppato nell’Hospice è un esempio per altre strutture?
A Caserta è stato già aperto due anni fa un hospice perinatale che segue lo stesso modello e a Palermo abbiamo aiutato a farne nascere un altro. Altre realtà italiane stanno chiedendo di applicare lo stesso modello, come a San Giovanni Rotondo, dove si sta costruendo un hospice. Poi a Vicenza, Verona e Arezzo dove stiamo lavorando da anni per la formazione.
Elisabetta Gramolini