Disabilità, 25 anni della “famiglia di giorno”: Santa Elisabetta tra quotidiano e nuove sfide
L’11 Novembre 1996 iniziavano le attività del Centro socio educativo riabilitativo Santa Elisabetta, realtà legata alla Comunità di Capodarco di Fermo e nata per rispondere all’esigenza di soggetti con disabilità psico-fisica media e grave e delle loro famiglie. I ricordi e il racconto delle sfide, quotidiane e future
L’11 Novembre 1996 iniziavano le attività del Centro socio educativo riabilitativo Santa Elisabetta, realtà legata alla Comunità di Capodarco di Fermo e nata per rispondere all’esigenza di soggetti con disabilità psico-fisica media e grave e delle loro famiglie. Dal ‘secondo piano senza ascensore’ di Lido di Fermo, dove tutto ebbe inizio, fino all’ormai prossimo trasferimento nella nuova struttura di via Pompeiana, tanto è stato fatto nel corso degli anni dalla “grande famiglia” Santa Elisabetta in termini di inclusione sociale e per il raggiungimento della massima autonomia per ogni persona accolta. In piena linea con il modello della Comunità di Capodarco del presidente Vinicio Albanesi, il clima sereno e accogliente è stato il filo conduttore che ha caratterizzato nel corso degli anni questo centro diurno, che ha mantenuto il giusto equilibrio tra dinamiche socio-educative ed esigenze sanitarie. A raccontarci la quotidianità del Santa Elisabetta è la responsabile Sonia Postacchini: “La struttura è accreditata per ospitare 15 persone anche se, al momento, sono 11 i frequentanti del centro, principalmente casi con disabilità psichica grave e con crisi comportamentali. Il numero delle persone accolte si è purtroppo ridotto anche a causa di alcuni dolorosi lutti come la scomparsa di Umberto e Piergiuseppe. C’è un piccolo gruppo di persone che ha un ritardo lieve e sono qui da sempre, mentre le persone con patologie psichiche anche gravi sono seguite da educatori individualizzati. Questa vicinanza consente di portare avanti un percorso specifico con idee e progetti educativi mirati”.
L’equipe del Santa Elisabetta attualmente si avvale della figura di un direttore sanitario, il dott. Francesco Sagripanti, di sei persone tra educatori e operatori sanitari e della presenza quotidiana di un infermiere e di una cuoca. Una squadra unita e professionale che nei momenti di maggiore difficoltà legati alla pandemia non si è risparmiata per dare sollievo e risposte alle persone accolte e alle loro famiglie, messi a dura prova da una convivenza forzata alla quale non erano abituati. Nonostante l’emergenza Covid abbia interrotto diversi laboratori e le attività all’esterno avviate dal Santa Elisabetta, non mancano i momenti di relazione interpersonale che regolano la vita quotidiana della struttura. “Dopo un periodo abbastanza duro di piena emergenza, la scorsa estate è servita per riappropriarsi delle relazioni e dei momenti di condivisione che sono fondamentali in questa grande famiglia- ricorda la coordinatrice Sonia Postacchini. “Penso ai pranzi all’aperto, alla ripartenza delle attività di giardinaggio così come le attività attraverso percorsi individualizzati. Adesso tutti sono concentrati sulla nuova sede, nella quale ci trasferiremo da lunedì 15 novembre, in particolare sull’occupazione e organizzazione di nuovi spazi, su come avviare piccoli laboratori nelle ampie stanze dedicate. Una di queste è quella del giornalino interno, un gruppo si riunisce come una piccola redazione, dopo la lettura dei quotidiani scelgono l’argomento di loro gradimento. Poi ritagliano l’articolo preferito e compongono il loro giornale personalizzato”. Anche con le famiglie delle persone accolte il clima è disteso e collaborativo: “Alcuni ragazzi hanno genitori anziani, qualcuno non ha li he neanche più. Ci sono tipologie varie e situazioni complesse, ma in linea di massima le famiglie hanno uno spirito collaborativo che si sposa con l’obiettivo comune che abbiamo che è quello del benessere e dell’autonomia di chi frequenta il centro. Ci terrei infine a ricordare con affetto la figura di Francesco Cucchi, la sua scomparsa lo scorso anno è stata un duro colpo per tutto il mondo Capodarco e per il Centro Santa Elisabetta di cui fu il primo responsabile. Il legame affettivo, oltre che di lavoro, con ospiti, famiglie ed equipe andava ben oltre il ruolo da lui ricoperto, tant’è che ancora oggi la figura di Francesco viene ricordata con emozione ed affetto dalle tantissime persone che hanno avuto la fortuna di incrociare la sua strada”.
A ricordare la fondamentale figura di Francesco Cucchi è anche Sandro Silenzi, attuale educatore del Santa Elisabetta e già responsabile della struttura: “Iniziai come obiettore di coscienza nel primo anno di vita del centro. Eravamo a Lido di Fermo in due appartamenti collegati e Francesco era già presente in prima linea in quello che era un presidio di risposta e accoglienza a una fragilità dimenticata e ignorata dal territorio, come la disabilità intellettiva di persone adulte. Persone che altrimenti sarebbero state a casa, con tutte le problematiche correlate e l’essere gli unici a dare una risposta sul territorio rappresentò il punto di forza. Non è stato semplice all’inizio perché non c’erano esempi o modelli da seguire, quindi Francesco ha dovuto creare un equipe e una struttura di supporto dal nulla anche perché nessuno di noi aveva esperienza presa in carico di una disabilità intellettiva. Il suo rapporto con le persone e le famiglie andava ben oltre il trattamento in struttura, prendeva sulle sue spalle i loro bisogni a 360 gradi con un coinvolgimento quasi personale. All’epoca c’era la percezione che se queste persone non fossimo stati noi ad aiutarle non l’avrebbe fatto nessuno, oggi sarebbe impossibile pensare a rapporti del genere. In 25 anni di cose ne sono state fatte, persone che sono arrivate e andate via, molti sono venuti a mancare, qualcuno è rientrato in famiglia e sono cambiate le condizioni socio familiari. La costante dal 1996 ad oggi è il modello messo in piedi da Francesco, che è poi il modello proprio di Capodarco: far sì che questo servizio fosse percepito dagli ospiti come una vera e propria “famiglia”, più specificatamente una “famiglia di giorno”. (Marco Donzelli)