Conferenza sulle dipendenze. I servizi e le comunità: “Sia un punto di partenza”
La VI Conferenza nazionale sulle dipendenze tenutasi nel capoluogo ligure non ha convinto tutti. Tempi stretti, confronti mancati e qualche vecchio scheletro. L’auspicio, ora, è che i lavori arrivino in Parlamento e che, come dice Grosso, il Dipartimento per le dipendenze “non sia più una scatola vuota”
La Conferenza nazionale sulle dipendenze di Genova 2021 sia un punto di partenza e non di arrivo. A chiederlo a gran voce è il mondo dei servizi per le dipendenze e delle comunità che nel fine settimana appena trascorso ha partecipato, insieme a tutti gli attori pubblici e privati, alla VI Conferenza nazionale nella città ligure che 21 anni fa ha ospitato quella che dal mondo dei servizi per le dipendenze viene considerata l’ultima vera Conferenza nazionale sulle droghe e le dipendenze. Una due giorni ricca di interventi che ha coinvolto oltre cento esperti di questo mondo, ma che secondo alcuni è stata organizzata in tempi troppo stretti, lasciando fuori dalle riflessioni alcune questioni cruciali. Sono queste le prime reazioni a caldo da parte del sistema dei servizi e delle comunità ad un evento che mancava ormai da 12 anni, sebbene la legge prevede la sua organizzazione una volta ogni tre anni. I lavori preparatori sono entrati nel vivo solo a luglio e hanno coinvolto 123 esperti con 150 ore di riunioni online e 63 ore di dirette web. Lavori che hanno trovato il culmine nei giorni scorsi all’interno di sette tavoli di lavoro e nelle diverse sedute plenarie. Un lavoro che ha portato ad evidenziare necessità e nodi da sciogliere, raccogliendo anche alcune proposte di modifica della legge 309/90, anch’essa in ritardo (in questo casi di più di 30 anni) rispetto all’attuale mondo delle dipendenze. Per Leopoldo Grosso, del Gruppo Abele, il bilancio è “positivo, nonostante tutto”. “Dobbiamo valutare i risultati dei tavoli di lavoro che hanno prodotto tante proposte di cambiamento che anche se non saranno utilizzate dal Parlamento per modificare le leggi, sicuramente andranno nel piano d’azione nazionale 2022-2025 - ha detto Grosso a Redattore Sociale -. Il lavoro dei tavoli è stato utile anche se in tempi ristretti perché la Conferenza è stata inventata a luglio e a fine novembre abbiamo già chiuso. Hanno partecipato gli addetti ai lavori, ma non è stato un momento partecipato, largo come quello di Genova del 2000”. Per Grosso, tuttavia, è chiaro che la Conferenza appena conclusa non è da considerare un punto di arrivo. “Il nostro progetto più ambizioso è di modificazione la legge 309, ma tutto dipenderà dalla politica, se il governo tiene o meno”. Per Grosso, però, sono diversi gli ambiti su cui si può già intervenire. “Bisogna fare in modo che il Dipartimento per le dipendenze non sia più una scatola vuota ma riempita di attività, di gente che ci lavora e che fa monitoraggio rispetto a tutta una serie di sperimentazioni di cambiamenti da avviare - ha aggiunto -. L’implementazione dei servizi, la prevenzione, la realizzazione dei Lea a cominciare dalla riduzione del danno, la cannabis terapeutica sono tutte questioni che non hanno bisogno di grandi modifiche della legge e su questo si spera che se siamo ad un nuovo inizio, si possa ripartire davvero”. Tempi stretti a parte, per Riccardo De Facci, presidente del Cnca, il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, è da premiare il coinvolgimento di tutti gli attori, compresi i consumatori. Apprezzabili i lavori dei tavoli: “Sono risultati importanti e faremo di tutto, insieme alle altre reti, per fare in modo che vengano portati in Parlamento e diventino tavoli di lavoro, linee di applicazione tra i vari ministeri e con i sistemi territoriali”. Nonostante gli aspetti positivi, non mancano le note stonate. “Sarebbe stato importante un momento di lavoro della ministra Dadone col sistema di intervento. Abbiamo chiesto alla ministra Dadone di ascoltare direttamente i rappresentati del sistema di intervento”, tuttavia questo incontro non c’è stato. Inoltre, non è mancata qualche divergenza all’interno dei lavori. “Ci è sembrato che sui Lea, sui diritti da garantire ai consumatori come la riduzione del danno e la riduzione dei rischi e quindi la prossimità al mondo dei consumi sia stato ancora letto da una parte del sistema e delle rappresentanze in maniera ideologica e preconcetta”. Per De Facci, però, ora bisogna andare avanti. “Abbiamo tre proposte immediate: in assenza di una consulta, chiediamo alla ministra di farsi carico dell’organizzazione di un tavolo interministeriale di lavoro che metta a terra il più possibile quelle che sono le proposte concrete e fattibili presentate a Genova e che si cominci a dare lo spazio per un confronto serio e basato su evidenze scientifiche e non ideologiche su quelle che sono le criticità, come la riduzione del danno, le stanze del consumo e le sanzioni”. La seconda richiesta del Cnca riguarda le proposte di modifica alla legge sulle droghe del ’90, ovvero che le proposte emerse a Genova diventino “un documento su cui in Parlamento deve ragionare”.La terza richiesta del Cnca riguarda i Lea e le risorse per garantirli. Per De Facci occorre “provare a garantire sul fondo nazionale della salute un 1,5% per queste tematiche e il riavvio del fondo nazionale per lotta alla droga che per la sua parte nazionale era stata prevista ma non più applicata da parecchio tempo”. Per De Facci, la ragione dei ritardi accumulati sia sulla legge che sulla Conferenza riguardano qualche “famigerato termine che girava anche a Genova - spiega De Facci -. Il tema delle droghe per alcuni è diviso ed eticamente sensibile. Per troppi anni, da una parte e dall’altra del Parlamento, abbiamo sentito questi termini che hanno rinviato una riflessione seria su una legge che tutti ormai sappiamo superata. Il rischio che abbiamo è che sicuramente non sarà un governo così eterogeneo a pressare per il cambiamento della legge”. Biagio Sciortino, presidente di Intercear, si dice “parzialmente soddisfatto”. Secondo Sciortino, infatti, la Conferenza nazionale appena conclusa “non è stata esaustiva della problematicità del mondo delle dipendenze - spiega a Redattore Sociale -. Ci aspettavamo un confronto più diretto, con tavoli più specifici che puntavano ai servizi. Siamo stati coinvolti nell’organizzazione della Conferenza come esperti, ma è mancato il confronto più ampio. Non siamo molto soddisfatti perché credo che bisognava centrare l’argomento più importante proprio sui servizi e sul sistema che non funziona perfettamente in Italia”. Sebbene sia stato “fondamentale aver organizzato la Conferenza”, spiega Sciortino, ora tocca alla politica e a tutto il sistema “rimboccarsi le maniche e lavorare senza divisioni. L’obiettivo principale deve restare l’uomo e il servizio rivolto all’uomo. Noi lavoreremo a piene mani su un sistema che va riformato e integrato quantomeno con i minimi servizi fondamentali in tutte le regioni”. Anche per Sciortino, quindi, Genova 2021 è un “punto di ripartenza” e invita “a non creare scissioni perché oggi dobbiamo lavorare per uniformare e rendere più fluida e libera la scelta della cura dell’individuo”. A sottolineare le mancanze della Conferenza di Genova anche la Fict, la Federazione Italiana Delle Comunità Terapeutiche. “La Conferenza sulle dipendenze, senza un momento reale di confronto, senza possibilità di dibattito tra gli operatori del sistema, rischiava di essere l’ennesima occasione persa. E purtroppo così è stato - afferma il presidente Luciano Squillaci -. E così si è materializzata la nostra paura più grande: che la conferenza si incartasse sul vecchio e superato dibattito ideologico tra antiproibizionisti e proibizionisti”. Per Squillaci, “Genova non è stata solo un’occasione persa, ma un’esperienza amara per gli operatori dei servizi, che lavorano da anni in un settore ormai sfiancato e che si occupano della cura e della riabilitazione di migliaia di persone con problemi di dipendenze. Si sono succeduti sul palco, in apertura, ben 9 ministri che sono andati via subito dopo il proprio intervento. Dopo un decennio di assoluto disinteresse delle politica, dice Squillaci, avremmo auspicato che il governo sarebbe venuto ad ascoltarci, a comprendere i problemi che affrontiamo ogni giorno sulle strade, nei servizi, nelle comunità. Nulla di tutto questo, al punto da rendere addirittura imbarazzante la nostra presenza silente, quasi da scolaretti in aula”. Per la Fict, però, non è finita qui e pensa ad un momento di confronto tra tutti gli operatori del sistema. “Adesso saremo costretti - spiega Squillaci - a ricominciare, a programmare ed organizzare, anche da soli se sarà necessario, nel più breve tempo possibile, un momento di sintesi e confronto tra tutti gli operatori del sistema. Perché in Italia si continua a morire per droga, perché alle porte dei nostri centri di ascolto bussano famiglie disperate con figli sempre più giovani vittime della droga o di altre dipendenze non meno drammatiche, perché dobbiamo rimettere davvero al centro la Persona, consapevoli che la battaglia contro le sostanze l’abbiamo perduta tanti anni fa”. Per Squillaci, non c’è più tempo. “La 309/90 è vecchia, il sistema di intervento è ingessato su modelli vetusti, i servizi pubblici e le Comunità lottano ogni giorno per sopravvivere. Ciò che non è avvenuto alla Conferenza di Genova dobbiamo far sì che avvenga al più presto, altrimenti sarà l’intero sistema a rischiare una inevitabile implosione. Abbiamo apprezzato il coraggio della ministra Dadone che ha voluto fortemente la Conferenza, ma il risultato finale è deludente: una conferenza per gli attori del sistema senza di loro è una conferenza senza anima”.