Conferenza dipendenze. Squillaci (Fict): “Una delusione. Serve una presa in carico globale da parte della comunità territoriale”
“Dopo un decennio di assoluto disinteresse della politica avremmo auspicato che il Governo sarebbe venuto ad ascoltarci, a comprendere i problemi che affrontiamo ogni giorno sulle strade, nei servizi, nelle comunità. Nulla di tutto questo, al punto da rendere addirittura ‘imbarazzante’ la nostra presenza silente”, osserva il presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche
“Delusione”, “imbarazzo”, ma anche voglia di non fermarsi per guardare avanti e non lasciare indietro nessun ragazzo e ridargli dignità: questi i sentimenti espressi al Sir da Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), al termine della VI Conferenza nazionale sulle dipendenze dal titolo “Oltre le fragilità”, convocata, a oltre dodici anni di distanza dall’ultima, dal ministro per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone, a Genova, il 27 e il 28 novembre, per un’analisi sui problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope e per dare al Parlamento tutti gli strumenti e le informazioni necessarie per aggiornare la vigente legislazione antidroga e adottare il nuovo piano d’azione italiano sulle dipendenze.
Presidente Squillaci, qual è il suo giudizio sulla Conferenza?
Un’occasione persa.
Leggendo i giornali di tutta la Conferenza, attesa da oltre dodici anni dai servizi che stanno boccheggiando sui territori, sulle strade, nelle comunità, negli ambulatori, quello che è riecheggiato è lo scontro interno al Governo sulla legalizzazione della cannabis. Purtroppo, era un rischio che noi avevamo ampiamente paventato prima della Conferenza e che si è rivelato reale. La Conferenza nazionale sulle droghe nasce per legge come un luogo di confronto tra gli operatori del sistema dei servizi. Quella di Genova si chiama Conferenza sulle dipendenze e, ampiamente sollecitata da noi, avrebbe dovuto offrire un momento di confronto degli operatori del sistema, cioè di coloro che lavorano in prima fila sui territori, nei Serd, nella comunità terapeutiche, nei servizi a bassa soglia, sulla strada, per capire come impostare quelle modifiche normative per far uscire il sistema da una situazione ingessata da oltre trent’anni e farlo entrare in un modello nuovo, da costruire insieme. Appena abbiamo visto il programma di Genova avevamo visto che non era così e abbiamo chiesto alla ministra Dadone la possibilità quantomeno di inserire nella due giorni un’ora in cui i rappresentanti dei servizi del pubblico e del privato potessero confrontarsi in una tavola rotonda, ma ci è stato risposto con garbo di no. Sono stati presenti nove ministri: dopo dodici anni di silenzio e di abbandono ci saremmo aspettati che fossero venuti ad ascoltarci, invece hanno fatto il loro intervento all’inizio della Conferenza, poi sono andati via.
A Genova sono stato in imbarazzo davanti a una politica che prima era solo sorda e ora anche cieca, perché ha dimostrato di non capire in che contesto era. Noi siamo restati, perciò, molto delusi perché una Conferenza per gli attori del sistema senza di loro… è una Conferenza senza anima.
C’è stato, comunque, qualche spunto di interesse?
Prima della Conferenza c’erano stati sette tavoli preparatori on line a cui abbiamo partecipato, provando a dare dei contributi. Ci sono degli elementi che sono ripresi nei documenti di sintesi assolutamente interessanti, anche rispetto alla prospettiva futura, ma questi elementi non sono emersi durante la Conferenza vera e propria. Invece, ci saremmo aspettati, anche per un senso di giustizia e di equità, anche un atto di restituzione nei confronti dei servizi che negli ultimi due anni sono stati esposti, a causa della pandemia, in strada e nelle comunità, abbandonati e senza alcun genere di ristoro, di linee guida, di indirizzi di comportamento. Durante la Conferenza al Tavolo 3 – “Evoluzione delle dipendenze e innovazione del sistema dei Serd e delle comunità terapeutiche” – non c’era nessuno delle comunità terapeutiche. Tranne qualche eccezione, la maggior parte dei partecipanti alle sessioni della Conferenza di Genova non era intervenuta nella fase preparatoria e non c’entra con il mondo delle dipendenze. È stato imbarazzante per i servizi e ha oscurato anche degli elementi positivi che pure ci sono. Per esempio, il fatto che
bisogna cambiare approccio nei servizi e passare, come dico io, dalle comunità alla comunità territoriale per una presa in carico globale.
Infatti, continuare a lavorare sulle persone che hanno problemi di dipendenza spacchettandole per prestazioni non funziona, ma provare a costruire insieme con tutti gli attori del territorio un percorso di recupero, i cosiddetti budget di salute, è la frontiera su cui lavorare per il futuro. Questa era una prospettiva che c’era e c’è nei documenti conclusivi, ma se n’è parlato poco e non è emerso in termini pubblici, al di là degli addetti ai lavori nessuno sa che si è parlato di questo. Tutti pensano che a Genova si è litigato solo sulla legalizzazione della cannabis, che non interessa a nessuno di noi che lavora nei servizi.
Ora come ripartire?
Con gli altri rappresentanti delle comunità vogliamo costruire da qui a febbraio la Conferenza dei servizi, che metta insieme i servizi del pubblico e del privato per parlare di quello che concretamente serve, che non sia una passerella, ma un momento di lavoro concreto di confronto, per indicare delle linee utili per la modifica della normativa che ormai ha trent’anni di vita.
Io temo, invece, quello che potrà uscire nel dibattito parlamentare, appiattito su proibizionismo e antiproibizionismo, sarà solo ideologico e non porterà a nulla, mentre noi abbiamo bisogno di intervenire su parti della normativa sulle droghe, dpr 309/90 che riguardano la governance e l’impostazione dei servizi, abbiamo bisogno di costruire delle linee guida, è necessario un rinnovamento importante di tutta l’organizzazione contro le dipendenze in Italia. Se continuano questi dibattiti inutili e queste battaglie già sentite, a noi non interessa, noi stiamo soffrendo in un momento veramente difficile, perché in Italia si continua a morire per droga (più di una persona al giorno), perché alle porte dei nostri centri di ascolto bussano famiglie disperate con figli sempre più giovani vittime della droga o di altre dipendenze non meno drammatiche.
Un altro elemento fondamentale che è mancato è l’aspetto educativo e relazionale, che va insieme all’aspetto clinico, della ricerca, dell’approccio basato sulle evidenze scientifiche, ma che è fondamentale. Perché l’assenza di relazione è probabilmente la causa del disagio e delle dipendenze.
In concreto cosa chiedete?
La presa in carico globale, ripartire dai territori, la costruzione di progetti individuali sul budget di salute che abbiano a mente il percorso terapeutico e il recupero della persona.
La stessa riduzione del danno che è stata centrale nel dibattito di Genova, pur essendo fondamentale nel sistema dei servizi, non deve essere fine a se stessa ma posta all’interno di un ragionamento che vede la dignità della persona al centro e di conseguenza l’opportunità comunque di dare un percorso terapeutico. Dunque, non diamo la siringa al ragazzo per evitare che muoia e basta, ma dobbiamo dargli dei messaggi positivi proponendo una scelta di vita alternativa. Anche se nel mondo dei servizi abbiamo posizioni diverse, insieme avevamo costruito una proposta di una riforma del dpr 309/90, ma di questo non si è proprio parlato, come se fosse stato cancellato con un colpo di spugna.