Alla ricerca della lentezza perduta. Anche la medicina che il cervello è una "macchina lenta"
Il web, e purtroppo le università e le modalità concorsuali (ma anche la scuola si sta attrezzando) ci inducono ad affrettarci sempre di più.
Bisognerebbe rallentare. Andare più piano, riflettere. Ma questo in una società dominata dai “data”, da intelligenze artificiali, equivale ad una vera e propria ribellione. Il web, e purtroppo le università e le modalità concorsuali (ma anche la scuola si sta attrezzando) ci inducono ad affrettarci sempre di più, a rispondere più in fretta possibile ad una domanda, a pubblicare prima di tutti gli altri una notizia.
Ma in realtà noi non siamo fatti per questo: il nostro cervello, come ha spiegato in un libro dal titolo emblematico, “Elogio della lentezza” (Il Mulino), Lamberto Maffei, non esattamente uno qualsiasi visto che è stato direttore dell’istituto di neuroscienza del Cnr, ha bisogno di tempi lenti, anzi, la velocità imposta crea panico e angoscia. Se questa verità è supportata dalle neuroscienze, anche nel passato era riconosciuta e praticata. Come ha messo ben in evidenza il gesuita Vincenzo Anselmo in un recente fascicolo (4041) de La Civiltà Cattolica, le sacre scritture invitavano a riflettere prima di prendere una decisione.
La sua citazione del libro dei Proverbi (15, 28) è quanto mai calzante: “Il cuore del giusto riflette prima di rispondere, ma la bocca dei malvagi vomita cattiverie”. La retorica classica e anche l’estetica del mondo pagano privilegiavano la lentezza, anche quella dell’incedere, segno di equilibrio rispetto alla velocità, derisa come ridicola e inelegante. Questo non vuol dire che dobbiamo rallentare e prendercela comoda: dobbiamo semplicemente uscire fuori dai condizionamenti mediatici, respirare profondamente, guardarci intorno e riflettere. Dobbiamo cioè non fare della lentezza un ulteriore idolo, ma non farci trascinare dalla coazione a ripetere di una velocità che è entrata dentro il nostro vivere. Con la scusa che poi “ci sentiamo in chat” lasciamo cadere le possibilità di parlare, di guardare, di interagire, di ascoltare persone che ne avrebbero bisogno. Il contatto reale mette in circolazione, attraverso le endorfine, energia positiva. Molte persone rinunciano all’incontro perché, condizionate dalla iper-esposizione mediatica, danno per scontato quello che direbbero o ascolterebbero. Non è così: la realtà non corrisponde mai alle anticipazioni, e serba anche sorprese positive che possono cambiarci la giornata oltre che l’umore. Quando ci arriva sullo schermo del pc o dello smart una notizia “epocale” dobbiamo sempre verificare prima di rimetterla a nostra volta in circolazione. Ci sono centinaia di fake news, vere e proprie bufale, divenute virali e poi smentite dai fatti o dalle fonti stesse.
Il rimedio? Accedere ad altre fonti, quelle che consideriamo attendibili: ci sono dei siti on line o riviste cartacee dedicati proprio alla individuazione e elencazione di tutte le bufale mediatiche dall’antichità ad oggi. Guardarci un attimo dentro e vedere se quella notizia non sia un po’ troppo “sintonizzata” sulle nostre convinzioni –e anche fissazioni, talvolta- costruita apposta per essere accettata acriticamente. Parlare con conoscenti informati e quanto più possibile equilibrati nei giudizi. E ricorrere al buon vecchio cartaceo, sia esso libro o rivista accreditata. Anche queste fonti sono soggette al rischio di “buchi”, di errori, ma la loro stessa natura “lenta” di costruzione presenta rischi assai minori.
Sì, è evidente che ci vuole del tempo per fare tutto questo, ma è un tempo ben speso, perché dobbiamo imparare ad avere del tempo per noi e per gli altri, per non diventare come il protagonista della poesia di Michel Quoist che vorrebbe pregare, ma non ha tempo, fino alla sconsolato capovolgimento di responsabilità: “E non arrivano mai a tutto, manca loro il tempo,/ nonostante ogni sforzo, manca loro il tempo/. Signore, Tu hai dovuto fare un errore di calcolo”.
Marco Testi