2018 Anno del cibo italiano: accelerare e fare bene
L’occasione di avere 12 mesi (che ormai sono diventati a stento forse 7 oppure 8) per valorizzare tutto il bene dell’agroalimentare italiano non va certo sprecata. Anche se magari corretta un po’ e velocizzata nei tempi e nelle procedure.
Possiamo partire magari dallo stesso Comitato tecnico: fra i 13 componenti indicati dai siti ufficiali, non si trova nemmeno un rappresentante dell’Accademia dei Georgofili (grande e assoluto scrigno di conoscenze a disposizione proprio di occasioni di questo genere) e tanto meno un rappresentante degli agricoltori, cioè di chi il cibo lo produce per davvero e la sua cultura l’ha nel sangue
Il 2018 continua ad essere l’Anno del cibo italiano. Anche se pochi in effetti fino ad oggi se ne sono accorti. Validi sempre gli obiettivi, ancora di più i buoni propositi che hanno spinto ben due ministri – quello delle Politiche agricole e quello della Cultura -, a dare il via, a inizio gennaio, a un’impresa che ha comunque grandi meriti. Dedicare 12 mesi alla valorizzazione del cibo sotto l’aspetto culturale ed economico insieme, è stata una scelta di non poco conto, che dovrebbe dare concretezza al fatto che il cibo e l’agroalimentare italiani sono i più grandi al mondo.
Perché così è certamente. Basta ricordare a questo proposito, che le esportazioni agroalimentari nazionali nel 2017 hanno superato i 41 miliardi di euro, e che proprio il cibo in Italia significa decine di migliaia di imprese, centinaia di migliaia di posti di lavoro e una serie di attività concatenate fra di loro che valgono al consumo oltre 230 miliardi di euro. Economia strettamente unita alla cultura millenaria di cui siamo fatti, ai nostri paesaggi e tradizioni, all’unicità di cui l’Italia è portatrice assoluta. Un tesoro che proprio una serie importante di iniziative ed eventi potrebbe valorizzare, far conoscere correttamente, vendere di più nel mondo.
D’altra parte, il materiale tecnico ed enogastronomico, oltre che agroindustriale, sul quale lavorare c’è tutto. Partendo proprio dalle dichiarazioni effettuate nel corso della presentazione dell’iniziativa: i riconoscimenti Unesco legati al cibo come la Dieta Mediterranea, i paesaggi rurali storici, le numerose filiere agroalimentari presenti lungo lo Stivale agricolo, l’attenzione alla lotta agli sprechi alimentari, lo stretto legame tra cibo, arte e paesaggio e fra questi e il turismo, i “distretti del cibo” e via discorrendo.
Ottimi propositi dunque, che sono tutti da confermare ma anche da mettere in pratica. Certo, Governo e organizzazioni agricole non sono rimasti con le mani in mano. Alcuni provvedimenti a sostegno della lotta agli sprechi alimentari sono stati avviati. Grandi passi in avanti sono stati fatti lungo la strada della trasparenza nelle etichette degli alimenti più diffusi. E’ continuata la lotta ai falsi prodotti alimentari italiani (che da soli nel mondo valgono qualcosa come 60 miliardi di euro). Sono state varate le nuove regole per i controlli dei prodotti biologici.
E la serie fitta di iniziative collegate all’Anno del Cibo? Anche qui qualcosa è stato progettato. Dopo oltre un mese dall’annuncio, infatti, quasi alla fine di febbraio scorso sono stati resi noti un lungo elenco di idee e la composizione del Comitato tecnico che dovrebbe sorvegliare sulla loro realizzazione. C’è da sbizzarrirsi. I due Ministeri (della Cultura e dell’Agricoltura), dovranno attuare “una completa ricognizione di prodotti agricoli e agroalimentari di eccellenza, ricette della cultura alimentare e culinaria dei territori italiani, circuiti ed itinerari di offerta enogastronomica, eccellenze di conoscenze e sapere”. Di tutto questo “verrà promossa la conoscenza internazionale, con particolare riferimento all’organizzazione di esperienze gustative relative ai prodotti a denominazione di origine e ad indicazione geografica”. E poi, “verrà realizzata una grande campagna di comunicazione internazionale sul brand Italia”; mentre insieme anche al ministero dell’Università e della Ricerca “verrà promossa la cucina italiana di qualità”. E non solo, perché “verrà definito un accordo tra Ministero e Cassa Depositi e Prestiti per sviluppare i servizi di accoglienza rivolti ai turisti presenti lungo gli itinerari di turismo lento”. Oltre a tutto questo, sarà composto “il Calendario delle Attività dell’Anno del Cibo”. Mentre sempre alla fine di febbraio è stato dato l’annuncio che “è in corso di realizzazione una piattaforma informativa orientata, oltre che alla diffusione delle iniziative realizzate, all’approfondimento e alla divulgazione dei temi trattati dall’Anno del Cibo”.
Diciamolo chiaro: non tutto è rimasto allo stato di progetto. Ma alla fine di marzo sempre i due Ministeri hanno annunciato che “il primo tavolo tecnico di coordinamento per il 2018 Anno del cibo si è tenuto al ministero dei Beni culturali e del Turismo, alla presenza del ministro Dario Franceschini e presieduto dal direttore generale del Turismo, Francesco Palumbo”. Riunione operativa dell’organismo “creato per individuare criteri e modalità di promozione, per sviluppare attività e iniziative dirette a rafforzare l’offerta anche culturale, sia su base nazionale che territoriale, nel fondamentale comparto dell’agroalimentare, dell’enogastronomia e della cucina italiana per l’impatto e la ricaduta nel settore turistico”.
Ad inizio di aprile però, oltre ad alcune indubbie e belle realizzazioni che hanno unito il cibo all’arte, occorre però accelerare. Ed è qui che arrivano i dubbi. L’Anno del cibo italiano sarà ancora tale con il nuovo Governo? E, poi, con quali risorse economiche? E con quale coordinamento? E con quali tempi di realizzazione?
L’occasione di avere 12 mesi (che ormai sono diventati a stento forse 7 oppure 8) per valorizzare tutto il bene dell’agroalimentare italiano non va certo sprecata. Anche se magari corretta un po’ e velocizzata nei tempi e nelle procedure. Partendo magari dallo stesso Comitato tecnico: fra i 13 componenti indicati dai siti ufficiali, non si trova nemmeno un rappresentante dell’Accademia dei Georgofili (grande e assoluto scrigno di conoscenze a disposizione proprio di occasioni di questo genere) e tanto meno un rappresentante degli agricoltori, cioè di chi il cibo lo produce per davvero e la sua cultura l’ha nel sangue.
Andrea Zaghi