#iorestoacasaepenso. Cosa vuol dire pregare? Risponde Giovanni Realdi
Il fatto è che lo star fermi conduce obbligatoriamente ad aumentare il tempo di pensiero. E se nessuno ci ha insegnato come e cosa pensare, noi semplicemente ospiteremo in testa quanto ci troviamo di disponibile, e quindi – di questi tempi, ben prima dell’epidemia – quanto di letteralmente disponibile troviamo tra le mani, scorrendo le schermate del telefono.
Nulla di male. È che, direbbe Foster Wallace, non stiamo facendo nessuno sforzo, non stiamo affatto scegliendo a cosa dedicare il tempo, su cosa accendere la luce della ragione. Immersi nello streaming, nel flusso di notizie, meme, video, audio, immagini possiamo persino convincerci di esserci fatti un’idea del mondo.
Possiamo certo alleviare lo spirito, qualora esso sia appesantito dal dolore. Se tuttavia perseveriamo in un costante status di leggerezza, è perché abbiamo scordato il momento esatto in cui tutto è diventato pesante. In cui noi ci siamo fatti pesanti.
Da pesanti a pensanti: si rende necessario uno sforzo, salire un gradino un poco alto, alzarsi dalla sedia. Uno stacco, un’interruzione forzata. La corrente salta, tutto resta buio. Ecco che reagiamo, cerchiamo una candela – metaforica si intende –, nulla da mostrare alla finestra.
Se per cause da noi indipendenti ci sia restituito un poco di tempo, usiamolo per prenderci la distanza di cinque centimetri dalla realtà. Per guardarla da fuori.
Ma se ora ci pensiamo, non facciamolo solo per pensarci su – ricadremmo nella corrente –e invece abbiamo voluto togliere la spina.
Ecco: la preghiera – questo millenario istituto – è un modo per galleggiare sulla realtà, senza essere palloni gonfiati. È un modo per non affogare nella realtà, facendoci un poco più leggeri, non piume, ma pomici.
Prendere le distanze vuol dire prendere atto che anche oggi possiamo mangiare; vuol dire celebrare che siamo qui e possiamo vederci e parlarci; vuol dire confessarci che la notte fa paura, e che possiamo raccontarci i mostri che stanno sotto i letti; vuol dire riportare alla memoria chi non ha nulla di questo, perché è nato in Siria, o in Libia, o…
Vuol dire sentire sul viso, come nella primavera che inizia, il sole, che dice: voi siete figli amati. Da pesanti, a pensanti, a pensati.
Giovanni Realdi, insegnante e formatore
2 aprile 2020