Una speranza fatta di realtà. "Spera", l'autobiografia di Papa Francesco
La speranza di Bergoglio non è fatta di parole, ma di esperienza diretta, che emana fin dal titolo un’energia duratura, guarda lontano e nello stesso tempo viene dal passato

Un inno alla speranza è quello che emerge dalle pagine di Spera, autobiografia del compianto pontefice scritta in collaborazione con Carlo Musso, edita da Mondadori. Da parte di chi è vissuto nei vicoli del barrio giocando con altri bambini di ogni provenienza etnica, di chi è passato attraverso dittature e la tragedia di migliaia di persone scomparse nel nulla, e poi i progetti di vita laica e la scelta di prendere i voti, fino ad un conclave che dodici anni fa lo avrebbe eletto pontefice.
Ma il passaggio nei vicoli non è solo quello del bambino che giocava a pallone di stracci nel barrio Flores, ma anche quello dell’attraversamento della miseria degli altri, dell’incontro con prostitute che gli sono apparse come nuova manifestazione della Maddalena e con i preti che hanno scelto di rimanere in quartieri dove miseria, droga, violenza sono realtà tangibili e quotidiane.
La speranza di Bergoglio non è fatta di parole, ma di esperienza diretta, che emana fin dal titolo un’energia duratura, guarda lontano e nello stesso tempo viene dal passato, un passato comune di chi è stato dentro il popolo per esserci nato e averne condiviso le aspettative.
In Spera Francesco afferma di preferire una Chiesa accidentata piuttosto che una sicura nelle proprie comodità, perché l’abitudine a quella comodità diventa noia, malinconia, tristezza. Ed è questa una delle chiavi per leggere la dimensione laica -vale a dire non riservata solo ai credenti- del suo insegnamento: realizzato un desiderio materiale si fanno largo noia e insoddisfazione, o, nel migliore dei casi, richiesta di senso, un senso diverso. E qui subentra l’amore gratuito verso gli altri, soprattutto i poveri, come gli venne suggerito da un cardinale nel momento della sua elezione al soglio pontificio.
Non solo i poveri, ma, ricorda Francesco in questo libro, i bambini e gli anziani, che sono fragili e nello stesso tempo portatori di sorriso e speranza negli altri, non solo per ricevere attenzioni, ma per dare amore.
Il ricordo dei suoi nonni e del papà migranti piemontesi è anche un monito: ricordatevi che negli anni Venti del Novecento i migranti e i “clandestini” eravamo noi italiani. E con un ricordo indiretto, e che ben si accorda con il senso di speranza che pervade tutto il libro: nel 1927 la nave che avrebbe dovuto portare i nonni e suo padre in Argentina naufragò, ma un ritardo di alcune vendite di beni fece sì che i suoi non potessero imbarcarsi su quella nave.
La speranza è fatta di eventi reali anche se inattesi, ma pure di sogni, Bergoglio lo sapeva bene, e se talvolta uno di questi sogni svanisce, non è detto che sia la fine di tutto, perché i modi della realtà non sono prevedibili, e la stessa speranza costituisce un valore in sé che impedisce all’uomo di sprofondare nella disperazione e nel non senso.
Uno dei punti di contatto tra la terra e il cielo è proprio la figura mariana, la Madre di Dio, che segna il punto di incontro tra il Vangelo e l’umanità, in una concezione del femminile che ha pochi eguali nell’ambiente ecclesiale. Non è un caso che in questo libro emerga con forza la sua richiesta di essere sepolto nella più antica chiesa romana dedicata a Santa Maria Maggiore, dove è conservata una delle più celebri icone d’occidente, la Salus Populi Romani.
Speranza nonostante le catastrofi umane, i massacri, i bombardamenti, le stragi di bambini allora? Non è una contraddizione, perché sia in Spera che nell’intero pontificato di Francesco emerge la dimensione reale di questa speranza, fatta di azioni, viaggi, incontri. Una speranza attiva e fatta di amore per gli altri .