Un futuro oltre le barricate. Cosa rimane dopo la stagione dei Pride
La stagione dei Pride va concludendosi, purtroppo con una scia di polemiche, manco a dirlo, sui social network. In queste settimane, in diverse città del Veneto, sono scese in piazza persone Lgbtq e persone al loro fianco in nome dei diritti, tra cui molti amministratori locali, politici nazionali, genitori di figli gay o lesbiche.
A Padova la manifestazione si è tenuta il 3 luglio da piazza Garibaldi a Prato della valle e poi c’è il Village che rimane aperto tutta l’estate. Di fronte a tutto questo, online, si legge di messe riparatrici, di manifestazioni in senso contrario promosse da comunità cristiane e di altri segni di dissenso rispetto a eventi che ormai non rappresentano più una novità in alcun angolo del mondo, specie tra giugno e luglio. È complesso comprendere se e in che grado queste iniziative religiose “contro” il Pride esistano davvero o se non siano riprese di anni passati o di una sparuta minoranza all’interno della Chiesa.
A porre qualche interrogativo sono due riflessi della questione. Il primo: ancora oggi, nonostante siano passati 54 anni dal ’68, la morale sessuale continua a rappresentare un punto focale per moltissimi, fuori e dentro la Chiesa. C’è, tra i credenti, chi ne fa un vessillo identitario e chi, tra i non credenti, la utilizza per prendere le distanze dalla Chiesa stessa, a volte anche per giudicare in blocco chi ne fa parte. Su questo punto viviamo come dentro una dicotomia evidente: da una parte nessuno è più disposto ad accettare che chicchessia esprima punti di vista su come vive la propria sessualità, d’altro canto non di rado chi più si ribella ai principi che per secoli hanno abitato la società tende ad abbandonarsi a un certo moralismo in materia.
Il secondo riflesso riguarda, in tutto questo, la confidenza con il Vangelo da parte dei cristiani, rispetto alla stessa morale: a un osservatore esterno potrebbe sembrare che negli ultimi decenni di catechismo, nel modo di interpretare la vita e il mondo siano entrati molto più i dettami della morale sessuale rispetto alle pagine del Vangelo. In rete come in presenza, è molto più comune discutere (e scontrarsi) sulle abitudini sessuali che non sulla Parola, anche quando questa è molto diretta e può avere conseguenze dirette sulla quotidianità (basti pensare a tutte le volte in cui Gesù cerca gli ultimi, li guarisce, entra in casa di persone sconvenienti: è semplice, anche se scomodo, trarre una regola di vita da questi episodi).
Detto questo, dispiace che talora, anche nel 2022, la logica dello scontro prevalga su quella dell’accoglienza e del dialogo e in questo contesto il “fare di tutta l’erba un fascio” prevale, contribuendo ad avvelenare il clima. Partiamo dalla dialettica tra cattolici: in questi ultimi anni, anche se il magistero di papa Francesco non ha spostato di una virgola la dottrina (nel marzo 2021 la Congregazione per la dottrina della fede ha emanato un responsum in cui spiega perché non siano ammissibili benedizioni di unioni civili tra persone dello stesso sesso), gesti di apertura e di inclusione di persone Lgbt credenti nelle comunità cristiane si sono moltiplicati.
Per quanto riguarda Padova, basta pensare allo storico gruppo Emmanuele che si riunisce a Mortise e il Mandorlo, il neonato gruppo di giovani Lgbt che si riunisce nella parrocchia di San Francesco. Eppure non mancano credenti che a tutto ciò si ribellano e danno vita a scontri accesi, non riuscendo a tollerare questa dinamica. Le parole di Francesco, in risposta a una serie di domande del gesuita James Martin, su questo non ammettono dubbi: cosa direbbe il papa a una persona omosessuale che ha subito un rifiuto dalla Chiesa? «Vorrei che lo riconoscesse non come un rifiuto della Chiesa, ma piuttosto di “persone nella Chiesa”. La Chiesa è madre e chiama insieme tutti i suoi figli». Al di fuori della comunità cristiana, non mancano attivisti Lgbt che continuano a sparare a zero sulla Chiesa, ignorando tutti i cristiani (etero o omosessuali) che si adoperano ogni giorno per superare le frizioni e costruire una convivenza serena e fruttuosa, nel rispetto dei diversi vissuti e punti di vista. Quel «chi sono io per giudicare?» del 2013 di papa Francesco ha aperto una stagione nuova. Tuttavia, a distanza di nove anni, serve la volontà comune di superare gli steccati, valorizzare le ricche esperienze già presenti, e costruire un futuro insieme.