L’amore è ciò che resta alla fine. I genitori di Sammy Basso e il loro primo Natale senza di lui

I genitori di Sammy Basso sciolgono per la prima volta il silenzio che avevano scelto dopo la morte del figlio, il 6 ottobre. Raccontano il loro primo Natale senza di lui. Un vuoto “pieno” di un amore smisurato arricchito dalla fede

L’amore è ciò che resta alla fine. I genitori di Sammy Basso e il loro primo Natale senza di lui

Sammy Basso, mancato il 6 ottobre scorso, è stato un terremoto di energia umana. Ma la sua più grande “scossa emotiva”, l’abbiamo percepita tutti al suo funerale, che ha smosso – come s’è visto – le coscienze di credenti e non, toccando le corde profonde della società civile, religiosa e scientifica, come poche altre volte era capitato. Sul peso del suo testamento spirituale si discute ancora. Il suo è stato un funerale francescano e ha fatto il giro del mondo. La rivoluzione comunicativa impressa dal piccolo-grande uomo di Tezze sul Brenta, arrivato in vetta al mondo perorando la ricerca per la cura della progeria – la malattia di cui era affetto – ha raggiunto il suo vertice proprio nel giorno del suo stesso commiato. Un lutto collettivo che ha raccolto un cordoglio unanime e resta ancor oggi nell’aria quando si dice Sammy (e non “Semmy”, come rivendicava lui). Ma in quell’occasione è arrivato anche il messaggio chiaro di serena compostezza dai suoi genitori, mamma Laura Lucchin e papà Amerigo Basso, che per ventotto anni sono stati l’ombra di Sammy. Li abbiamo incontrati alle porte del Natale, interrompendo il lungo e ricercato tempo di silenzio che la coppia si è imposta dopo il vortice emotivo che l’ha travolta.

Anzitutto grazie per aver accettato di sciogliere il silenzio attraverso queste pagine. Sammy era un vulcano di energia. Che Natale sarà questo senza quella sua energia?

«Diverso sicuramente – risponde mamma Laura – sarà unico vista l’assenza del protagonista della nostra piccola famiglia. In questi mesi, molti ci ripetono: “Sammy è lì con voi, che vi protegge e guarda!”. Io però non riesco a sentire dentro di me tutto questo. Come mamma, vivo ancora nella mancanza. Nell’assenza di un contatto fisico che non ci sarà più, come il suo lungo parlare o i suoi gesti d’affetto. Se in una condizione normale la crescita tende a creare distacco dai figli, nella malattia accade il contrario. Per questo non è facile affrontare il vuoto in cui ci troviamo, sebbene sapessimo che sarebbe accaduto. Tutto è reso più difficile dal rapporto simbiotico che avevo con Sammy, dopo aver scelto di dedicarmi completamente a lui, quando a due anni gli venne diagnosticata la progeria. Questo mi ha portata a condividere quasi ogni momento della sua vita. So però che se passassimo nella tristezza questo Natale, lui ci rimprovererebbe dicendoci di “stare allegri”». «Non c’era una ritualità specifica a Natale – riprende papà Amerigo – che passavamo in casa, tra amici o in compagnia dei quattro nonni che, grazie alla fortuna di averli tutti, circondavano di uno smisurato affetto Sammy. Oggi anche loro, seppur nella malattia, stanno cercando di trovare la forza di continuare a convivere con l’assenza del loro nipote. Per il resto il nostro Natale è sempre stato essenziale, tanto da non essere un’abitudine famigliare lo scambio dei regali. Solo un regalo fu davvero speciale: quando Sammy allora giovanissimo, mi chiese di poter fare con lui un regalo a mamma Laura. Scelse una piccola crocetta dal valore irrisorio. È la stessa che ancora oggi Laura porta al collo, come il più prezioso dei gioielli».

Quello che conosciamo è il Sammy pubblico: com’era invece nell’ambito famigliare?

«Era un coccoloso – precisa mamma Laura – Il nostro era un rapporto fisico, di tanto in tanto mi chiedeva un bacio, un abbraccio, fino a spingersi a sedersi sulle mie gambe. Non spesso, ma accadeva! Era poi talmente empatico, che spesso diventava disarmante nelle richieste. L’esempio ce l’avevamo con mia madre, affetta da una grave degenerazione cognitiva. Lei non riconosceva nessuno tranne Sammy, e ogni volta che lo vedeva s’illuminava, riuscendo anche a dialogare con lui. E questo per noi è sempre stato incredibile!». «Capitava a me come a Laura – aggiunge Amerigo – che il sabato o la domenica, quando entravamo a svegliare Sammy al mattino, lui ci chiedesse esplicitamente: “Vieni sotto qua?”. Così sotto le coperte restavamo a chiacchierare o stavamo in silenzio. E questo bastava per rispondere a quel contatto fisico che lui chiedeva, e non gli abbiamo mai negato».

È innegabile che siate stati l’ombra di Sammy. Lo si è visto anche al funerale, dove avete mostrato tutta la vostra forza e unità. Un genitore però conosce pregi e difetti del proprio figlio. In cosa Sammy eccedeva?

«Sull’ostinata volontà di raggiungere gli obiettivi che si prefiggeva – è la risposta di mamma Laura – Quando si metteva in testa qualcosa, che fosse un traguardo, un esame o un luogo da visitare, lui puntava dritto sull’obiettivo. In una sola cosa però non è riuscito: visitare la Terra Santa come desiderava fare. Oggi quella terra, la vedrà dall’alto».

Si dice che i figli sono l’insegnamento dei genitori: se lui è diventato quello che è, lo dobbiamo anche a voi!

«Ventotto anni fa quando nacque Sammy, per due anni ci sentivamo dei genitori normali. Lui manifestava qualche lieve ritardo nella crescita, ma i pediatri ci rassicuravano dicendoci che “era tutto superabile con il tempo”. A due anni però, all’improvviso, l’ineffabile diagnosi della progeria. Non sapevamo neppure cosa fosse. Ci siamo dovuti documentare. Di primo acchito mi assalì il pensiero che fosse un “castigo divino” – confessa la mamma – Subentrarono così momenti di smarrimento che culminavano con il solito: “Perché a noi?!”. Ma Sammy fin da piccolino è sempre stato meraviglioso anche in questo, al punto che quando mi vedeva triste o con un abbozzo di lacrime, mi diceva: “Mamma, mi fai un sorriso?”. Solo dopo alcuni anni, maturammo la consapevolezza che questa difficoltà stava per diventare un dono. Ce lo confermerà più volte anche Sammy, dicendo di “essere grato alla progeria, perché mi ha permesso di fare tutto quello che ho fatto”».

Credete come genitori di aver fatto tutto il possibile?
«Quale genitore non farebbe l’impossibile per il proprio figlio!? In questo non siamo diversi dagli altri genitori. Siamo stati madre e padre con tutti i pregi e difetti. Ma se c’è una meraviglia del nostro rapporto con Sammy, questa sta nella spontaneità che c’era in pubblico, come in casa. Non era serenità assoluta, ma spontaneità vera. Mai una forzatura, magari qualche scontro, com’è naturale che sia in un rapporto, che sono poi cose normali per una famiglia, ma tutto poi si dissolveva in un sorriso, un abbraccio, un bacio che arrivava con naturalezza, come fu anche nell’ultimo suo giorno di vita. Quello che più ci consola, è sapere che Sammy ha vissuto, intensamente, per 28 anni, quando l’età media nei casi di Progeria non supera i 13. Un dono che oggi sa d’immensa gratitudine».

Sammy aveva deciso di combattere in prima persona la sua malattia: quando ha preso coscienza della sua situazione?

«Lui è sempre stato un curioso per natura. Una curiosità per conoscere – sottolinea papà Amerigo – che ci dimostrava fin da piccolino con la sua fame di lettura. Si guardava, si analizzava e poi ricercava. Questo lo spinse a fare quella scelta dopo le scuole superiori, che l’avrebbe avviato verso la laurea e alla ricerca che tutti conosciamo. Diceva spesso: “Non è la mia, ma la nostra battaglia”, pensando ai 140 malati di progeria sparsi nel mondo».

In questi mesi si è sollevata più volte la questione sulla possibile sua “beatificazione”: qual è la vostra reazione?

«La verità? Non ci poniamo il problema. Sappiamo invece cosa avrebbe risposto lui in questo caso. E questo ci basta».

E torniamo al Natale, un momento ricco di simboli e segni. Ricordiamo in particolare quel “Tau” che Sammy portava al collo, in ogni situazione e senza vergogna, come adesione alla spiritualità francescana, al punto che sulla sua bara ne ha voluta una grande di legno. Da dove arrivava tutta questa sua “semplicità”?

«Dal vivere nel quotidiano una fede concreta – conclude mamma Laura – e da un processo umano di ricerca spirituale. Ma anche dallo scontro con il divino, con cui Sammy si è approcciato fin da quando aveva 12 anni, quando ebbe una profonda crisi emotiva e spirituale. L’avvicinamento a Francesco di Assisi l’ebbe durante un campo scuola parrocchiale, improntato sulla figura del Poverello, che portò la testimonianza di alcuni frati. Fu in quell’occasione che gli venne consegnato quel “Tau” che si è portato fin nella tomba, che non ostentava e portava con naturalezza. Ricordo ancora quanti bambini che si avvicinavano a Sammy per giocare con lui finissero poi col giocare o leccare quel segno di legno. Dopo quel camposcuola, lui iniziò un percorso di ricerca e studio sulle grandi religioni, che culminò con il ritorno al cristianesimo indicato da Francesco di Assisi. Da parte nostra, non c’è mai stata alcuna forzatura. Credo anzi sia stato lui ad arricchire la nostra fede». «Non mancarono i momenti critici – conclude papà Amerigo – come nel 2022, quando c’era da decidere sul delicato intervento al cuore, senza aprire il torace passando da una cavità costale, molto molto delicato. Prima di questo vi fu la scelta sulla terapia sperimentale. Anche allora, fu lui a invitarci a non desistere: “Proviamo – ci diceva – se Dio ci ha dato le mani e la conoscenza, è per poterci curare”».

Che sia un Natale di speranza nella vita di ogni giorno

Il Natale che ci apprestiamo a vivere ci coglie in un grave contesto geopolitico, preoccupati dalla situazione economica dell’Italia e dell’Europa, in un futuro pieno di incertezze più che di basi stabili a partire dalle quali progettare e costruire. In questo contesto, nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, il papa apre la porta santa nella basilica di San Pietro in Vaticano e dà così avvio al Giubileo ordinario il cui motto è “Pellegrini di speranza”. Per questo, pensando al numero di Natale 2024 del nostro settimanale, abbiamo deciso di aprire con una serie di storie che ci parlano di speranza incarnata nella vita di tutti i giorni, la virtù teologale che secondo papa Francesco è «la più piccola delle virtù, ma la più forte. E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto, che viene “con grande potenza e gloria” (Mc 13,26)».

Le parole di Sammy. «Il Natale ha ancora molto da insegnarci»

Nel Natale del 2022, Sammy Basso visitò il presepe vivente nelle Grotte preistoriche di Villaga (Vi) sui Colli Berici, portato con la sua carrozzina da papà Amerigo e mamma Laura sempre al suo fianco. Arrivò fino alla grande grotta dove era allestita la Natività. Quell’arrivo fu una sorpresa per le migliaia di visitatori e un motivo di commozione per le centinaia di figuranti in scena. Ciò che lo spingeva fin lì era la sua fede: mai ostentata, ma piuttosto vissuta e incarnata. Tutto concentrato in quel suo minuscolo gracile corpo che lo rendeva simile a un “folletto” – come in parte si sentiva dentro – accentuato dai colori sgargianti che lui sceglieva nell’abbigliamento. Non aveva nulla di cui vergognarsi. Anzi, si compiaceva quando strappava un sorriso ai bambini. Chi lo incontrava, superato il primo imbarazzo, finiva poi con l’abbracciarlo. «Quel giorno al presepe di Villaga, voleva esserci a ogni costo» confermano i suoi genitori. Scena dopo scena, parola dopo parola, Sammy assaporò ogni momento di quel Natale speciale. Alla fine ebbe da dire: «Qui ho respirato lo spirito del vero Natale, tanto da strapparmi delle lacrime di commozione. Troppo bello, troppo vero». «Sarà il periodo che stiamo vivendo – aggiunse poi – ma la scena dei soldati della Prima Guerra mondiale che fanno pace, mi fa pensare che il Natale ha ancora molte cose da dirci e insegnarci». Aggiungerà ancora: «Facciamo fatica nel tran-tran quotidiano, tra luci, addobbi e vanità varie, a respirare il vero spirito del Natale. Ma quanto ho visto e respirato oggi, credo sia proprio quello che voleva trasmetterci san Francesco, con il suo primo presepio vivente».

La sua eredità è nella ricerca sulla progeria

Sammy Basso lascia un’eredità umana, scientifica e spirituale, che ha fatto il giro del mondo. Riusciva a stare sul palco di un congresso internazionale, come pure su quello di Sanremo, come avvenne nel 2015. Oppure in braccio a Jovanotti nel 2019 durante un mega concerto. Capace di parlare davanti alle massime autorità mondiali, come nella sede dell’Onu, sempre e solo con quella semplicità che lo contraddistingueva come scienziato-ricercatore, punto di riferimento per i 140 ragazzi affetti da questa rara patologia. Ma è stato il suo testamento spirituale, letto durante il suo funerale a smuovere le coscienze di tutto il mondo. Lascia ai volontari che l’hanno aiutato e sostenuto fino all’ultimo l’Associazione Italiana Progeria Sammy Basso onlus, che finanzia la ricerca sulla progeria, il cui vaccino è prossimo dall’essere annunciato.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)