U come Ultimi. Il nucleo famigliare è la realtà per eccellenza in cui gli ultimi sono depositari di un surplus di attenzione
Le famiglie (le italiane sembra maggiormente di quelle europee) sono realtà in cui i bilanci si fanno con criteri e parametri che non sono e non possono essere solo quelli dell’efficienza.
Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi
Matteo 20,16
U come Ultimi. È forse banale ma la freddura che gli ultimi saranno beati solo se i primi saranno stati onesti dipinge quella che sembra l’immagine più diffusa della società in cui viviamo. Neanche alle Olimpiadi l’importante è partecipare, con buona pace di De Coubertin: la medaglia d’oro ha un valore incommensurabilmente più alto anche solo del secondo classificato. L’importante è vincere, arrivare primi, nello sport, nel lavoro, nella scuola, nella vita. Anche negli ambienti meno competitivi che si possa immaginare le parole evangeliche qui in testa appaiono del tutto utopiche, uno dei tanti paradossi detti da Gesù che però non sappiamo come collocare in un sistema sempre e comunque fortemente meritocratico.
Eppure gli ultimi ci sono e “saranno sempre con noi”. Gli ultimi non fanno la Storia ma ne fanno parte, gli ultimi sono moltitudini che i primi non possono ignorare perché esistono e fanno pressione ai nostri confini, alle nostre porte, nelle nostre coscienze. Come si comporta una famiglia nei confronti degli ultimi? Innanzi tutto ne accetta la presenza. Il nucleo famigliare è la realtà per eccellenza in cui gli ultimi non solo hanno ragion d’essere, ma sono depositari di un surplus di attenzione. È naturale che l’ultimo figlio venga accudito con particolare cura mentre si iniziano a lasciare andare quelli più grandi, è inevitabile che dove vi sia una disabilità lì si concentri la premura e l’attenzione dei genitori. Quale agenzia prima e più della famiglia si prende cura di un membro debole? Dove vi è un handicap subito cambiano i parametri di valutazione rispetto alle “prestazioni” dei vari componenti. Si è subito portati non a tracciare la linea del traguardo e vedere chi arriva primo, quanto piuttosto a seguire ciascuno nella sua unicità e valutare il percorso in relazione al suo sforzo non alla classifica dell’arrivo.
Quello che si dice per un figlio disabile, vale per un anziano. I primi ad aver solcato gli ottanta o i novanta, sono spesso gli ultimi nel contesto sociale: per loro si progettano residenze assistenziali, ma in realtà è perché non si sanno valorizzare i loro vissuti o non si hanno le risorse economiche per una cura domiciliare. Eppure quelle famiglie in cui vive un nonno sono di certo più preparate ad accettare la logica evangelica per cui non chi arriva primo ha vinto ma chi sa accordare il proprio passo a chi gli sta di fianco. Dunque le famiglie (le italiane sembra maggiormente di quelle europee) sono realtà in cui i bilanci si fanno con criteri e parametri che non sono e non possono essere solo quelli dell’efficienza; e fuori dal nucleo famigliare? “Fuori fa freddo” – come si suol dire – e tanti, davvero tanti rischiano di restare indietro e non recuperare più. Le nostre strade sono piene di ultimi e noi che li vediamo, facciamo fatica a non pensare che se sono in quelle condizioni non sia perché in qualche modo se la sono cercata… Facciamo come i farisei di fronte al cieco nato…: se è così è perché lui o i suoi genitori hanno peccato… Facciamo l’elemosina, ma arranchiamo dietro i nostri pregiudizi… dobbiamo cercare di giustificarci perché loro siano in quella condizione e noi no.
Anche rispetto a questi ultimi la famiglia può fare molto e di fatto spesso lo fa. L’assistenza telefonica ad un’anziana signora sola del condominio, qualche piatto caldo ma soprattutto tanto ascolto, tanti minuti… pensando che non ritorneranno più occasioni e che ogni scambio potrebbe essere l’ultimo. Le medicine alla clochard che chiede qualcosa in più della solita moneta e poi tutta l’assistenza organizzata, quella che in parrocchia, se Dio vuole, non manca mai. Non sempre e non solo pacchi viveri, ma tempo, tempo prezioso perché tanti abitanti del quartiere non si sentano più soli. Perché tutti, ma proprio tutti si sentano accolti e, come per gli operai dell’ultima ora, non si chiuda mai la porta fino a che non sia entrato…l’ultimo.