Se i principi sono resi vulnerabili. In che cosa si traducono esattamente le idee di “libertà” e “felicità” secondo lo spirito dei tempi
Il confine tra “senso”, autenticità, onestà intellettuale e speculazione commerciale è troppo fluido.
La libertà e la felicità al primo posto. Da questi saldi principi, conquistati attraverso le epoche a caro prezzo, la società postcontenporanea pare muovere a testa alta i propri passi. Le due dimensioni dell’umano vivere sono a pieno titolo pietre miliari nella costruzione della nostra civiltà.
Ci siamo dati parecchio da fare per definirne le caratteristiche. Abbiamo reclamato diritti, preteso uguaglianza, rimossi tabù e sensi di colpa, demolito pregiudizi e spostati i confini del lecito e dell’illecito. Poi ci siamo dedicati ai desideri, trasformandoli in sogni. Per farlo ci siamo affidati anche al potere evocativo delle immagini, prima diffuse dal cinema e dalla televisione e, nel tempo più recente, prodotte in forme straordinarie dall’universo digitale.
Ma in che cosa si traducono esattamente le idee di “libertà” e “felicità” secondo l’attuale spirito dei tempi?
La domanda appare fondamentale soprattutto in campo educativo, perché è lì che si gettano le basi per queste due “attitudini”. Oggi la libertà e la felicità appaiono come due grandi e accoglienti contenitori, sono piuttosto variegati. Rovistando al loro interno troviamo un po’ di tutto, anche molta grossolanità e diversi cortocircuiti.
L’idea di libertà oggi corre costantemente il rischio di sconfinare nell’arbitrio senza un quadro etico di riferimento. Diviene spesso anche un paravento per poter rendere lecito tutto e il contrario di tutto. Frequentemente ci si appella a essa come se di fronte alla parola libertà non fosse possibile esercitare alcun tipo di contraddittorio. Un parere contrario a qualcosa viene etichettato prontamente come “lesivo” o “reazionario”. Atteggiamenti pericolosi che rischiano di annichilire il pensiero critico soprattutto nelle giovani generazioni, portando all’appiattimento e all’accettazione sconclusionata di qualsiasi cosa si travesta da “libertà”.
Sull’idea di felicità ultimamente circolano molte riflessioni. In maniera particolare, il filosofo di origini coreane Byung-Chul Han ha recentemente pubblicato una serie di saggi, non troppo corposi ma chiari e densi di significati profondi sui nodi etici della nostra società. Nell’ultimo in ordine di pubblicazione, intitolato “La società senza dolore” (Einaudi, 2021), egli descrive una pervasiva “assenza di senso” che si contrappone a “un eccesso di positività” espresso prevalentemente attraverso la “sovraprestazione, sovracomunicazione, sovrastimolazione” degli esseri umani. Questi tre aspetti così marcati insistono soprattutto sul corpo, da un lato rendendolo più fragile e dall’altro attribuendogli potere. In questo modo, avverte il filosofo, “lo spirito si ritira”. Byung-Chul Han mette inoltre in guardia dalla società del mainstream, ovvero della “tendenza”. Anche l’arte, che nella tradizione passata riusciva a conservare la propria indipendenza, ne è travolta. Il confine tra “senso”, autenticità, onestà intellettuale e speculazione commerciale è troppo fluido. Gli sconfinamenti sono diventati pericolosi.
Le riflessioni da fare sono molte. Se trasmettiamo ai nostri figli principi che, col tempo e senza rendercene conto, abbiamo reso vulnerabili alla manipolazione commerciale e abbiamo consegnato alle mode del momento, non potremo poi rammaricarci di avere a che fare con giovani fragili ed esposti al potere persuasivo dei media. Il lavoro primario di rinforzo interessa la sfera dell’etica e della ricerca di senso, che deve essere in armonia e non in balia dello spirito dei tempi.